Terza Meditazione ( Esistenza di Dio).
E' il fulcro di tutta l'opera. La sfida di Cartesio è ufficialmente quella di combattere l'ateismo, ma lo scopo reale e filosofico dell'opera è un altro : occorre dimostrare l'esistenza di Dio perché soltanto cosi si può dare un fondamento di verità alla conoscenza umana. Il sapere del cogito è limitato (dice solo che io esisto mentre penso).
Nella filosofia di Cartesio si fa chiara e netta l'identificazione tra pensiero e coscienza. Pensare significa essenzialmente essere coscienti dei vari contenuti che si presentano alla nostra mente (nelle Meditazioni non è presente questa definizione).Il cogito è importante in quanto primo principio in quanto mette a fuoco la mia esistenza in quanto essere cosciente. La coscienza è l'unica cosa che hanno in comune tutti i miei stati cognitivi.
Il cogito è la via di uscita dalla sottrazione della seconda meditazione; dal punto di vista della scienza o anche della semplice conoscenza delle cose lascia a "digiuno". So di esistere io stesso mentre penso, è una conoscenza che non ha ancora un oggetto; è semplice auto- conoscenza del soggetto pensante. Il cogito, in altri termini, è ciò che mi fa pensare. Io sono un soggetto pensante.
La sfida è cercare qualcosa di diverso da me, con la stessa certezza con cui mi conosco esistente. Cartesio ha programmaticamente rifiutato ogni conoscenza che non avesse il crisma dell'evidenza razionale.
Cartesio ritiene che l'evidenza deve avere come suo garante Dio. Bisogna dimostrare che esiste un Dio verace non ingannatore.
Cartesio non è il primo filosofo che si è posto la questione dell'esistenza di Dio. Le prove per dimostrare l'esistenza di Dio diventano un topos cioè un luogo canonico di ogni metafisica e teologia a partire dal Medioevo ( S.Tommaso codificherà cinque vie tutte a posteriori le quali saranno opposte a quelle elaborate da Anselmo).
Le vie di S.Tommaso sono tutte a posteriori ossia partono dall'esperienza/dal mondo/ dagli effetti per risalire alla causa di questi cioè a Dio stesso.Sono prove di tipo causale. La quinta via elaborata da Tommaso si differenzia da tutte le altre in quanto la causa che si cerca è quella dell'ordine della natura; in questo caso Dio è dimostrato sulla base del finalismo naturale.
La prova di Anselmo era a priori e si insediava direttamente nell'essenza di Dio senza preoccuparsi di come sia fatto il mondo e trae la conclusione: Dio esiste dalla sua semplice definizione, quella che poi quasi mille anni dopo sarà chiamata dal filosofo Kant "prova ontologica"(parte dalla semplice definizione di Dio come essere dotato della massima perfezione di cui non si può immaginare niente di più grande in quanto tale non può essere privo dell'esistenza).
Cartesio scoprirà che ci vogliono degli elementi della prova di Anselmo e di Tommaso.
Sicuramente Cartesio non poteva fare affidamento alle cinque vie di S.Tommaso in quanto le aveva precluse con la sua strategia filosofica.
La mossa di Cartesio è quella di fare a meno delle prove tomiste!
Cartesio non parte neppure dalla prova ontologica,( la quale sarà presente nella quinta meditazione) in quanto non è altro che la deduzione della proprietà di un ente: Dio a partire dalla definizione di questo ente. Dio è l'essere dotato di tutte le perfezioni, l'esistenza è una perfezione/proprietà dunque Dio ha l'esistenza o proprietà di esistere; dunque Dio esiste.
Cartesio cercherà una strada che possa essere solo sua!
Per dimostrare che Dio esiste si parte dall'unica cosa che sappiamo con certezza ovvero il fatto che noi esistiamo mentre pensiamo. In altri termini, si può asserire che la strada partirà dal cogito.
Già nelle "Regole" Cartesio aveva in qualche modo prefigurato questa dimostrazione perché oltre al cogito ergo sum aveva inventato un'altra formula "cogito ergo sum, sum ego deus est"! Io esisto, dunque Dio esiste.
La regola generale che Cartesio ne deduce è che tutte le cose che noi concepiamo molto chiaramente e distintamente sono vere.
All'interno della terza meditazione, ad un certo punto, Cartesio si pone il problema di fare un catalogo dei pensieri-idee. Nel pensiero ci sono due cose: la mia consapevolezza, coscienza di avere una certa rappresentazione e un certo contenuto rappresentativo.
Tutti i pensieri che hanno un contenuto e che rappresentano qualcosa sono chiamati da Cartesio: idee (questa definizione vale solo per le Meditazioni !). In tutto il resto della sua opera, Cartesio, utilizza il termine idea in modo diverso: le idee sono tutti i pensieri della mente.
Prima di Cartesio l'idea era il modello che Dio nel suo intelletto aveva per le cose che poi avrebbe creato (dottrina platonica); è Cartesio che trasferisce le idee nell'uomo.
Noi troviamo Dio indagando il contenuto rappresentativo delle nostre idee.
Prima di arrivare alla dimostrazione di Dio vera e propria, Cartesio tenta una strada alternativa che è poi rimasta molto famosa: la tripartizione delle idee
1) innate come la facoltà di pensare. Tra queste si trova l'idea di Dio.
2) avventizie le quali vengono dall'esterno, sono ad esempio tutte le mie sensazioni ( chimere, ippogrifi)
3) fattizie (artificiali cioè create da noi) e sono tutte le mie fantasie (chimere, ippogrifi)
Questa divisione non porterà a nulla! L'idea di Dio è innata; questa è la fine della dimostrazione e non il presupposto della dimostrazione. Cartesio vorrà dimostrare che se abbiamo in noi l'idea di Dio, questa può essere stata messa in noi solo da Dio stesso (l'ha messa in noi fin dalla nascita).
Secondo Cartesio in ogni idea sono presenti due livelli ontologici ossia due modi in cui l'idea esiste e che può essere considerata:
1) realtà formale: è l'idea in quanto stato della mia mente, è un contenuto della mia coscienza. E' l'idea in quanto è pensata da me, è che cos'è l'idea nella realtà. Da questo punto di vista le idee sono tutte uguali. Si parla di realtà formale in quanto mi dice qualcosa sulla forma cioè sull'essenza dell'idea.
2) realtà oggettiva: è ciò che l'idea contiene come contenuto rappresentativo. Si parla di realtà oggettiva nel senso scolastico dove l'oggetto è l'obiectum ciò che mi viene in qualche modo gettato davanti agli occhi, ciò che vedo di quell'idea; cioè ciò che l'idea rappresenta. Nel contenuto rappresentativo di un'idea si troverà Dio.
Mi rappresento Dio come un essere infinito e a questo punto si pone il problema di sapere se io sono in grado di creare l'idea di Dio così come sono in grado di creare l'idea di ippogrifo.
La risposta di Cartesio a questa domanda è: No! in quanto io sono un essere finito!
Che cos'è Dio? E' una sostanza infinita, onnipotente che trascende la mia esperienza. Io non possiedo gli strumenti conoscitivi per creare l'idea di Dio. La scoperta di Cartesio è che in me è presente un'idea di infinito. Chi l'ha messa in me se sono finito? E' stata messa in me da una sostanza che è veramente dotata della proprietà di essere infinita.
In termini scolastici soltanto un essere che sia nella sua realtà formale, cioè, nella sua essenza infinito può creare una rappresentazione di sé che sia in qualche modo valida e verace. Soltanto Dio può creare l'idea di Dio.
Le idee per Cartesio sono cose reali in qualche modo; sono atti di pensiero e hanno un certo contenuto.
Il concetto dell'infinito è positivo, non è la negazione del finito.
Dio è ciò che non conosco, è diverso da me.
L'idea di Dio è originaria cioè viene prima di qualsiasi altra idea e anche del cogito; è positiva e sommamente chiara e distinta perché è la fonte di ogni conoscenza.
Cartesio rivoluziona l'epistemologia teologica occidentale asserendo che Dio è un'idea chiara e distinta!
L'idea di Dio deve essere chiara e distinta perché questo Dio deve servirci a qualcosa. Soltanto se conosco Dio razionalmente, posso stabilire con la massima certezza che non ci inganna.
Nella terza meditazione è presente un altro argomento per dimostrare l'esistenza di Dio il quale è fondato comunque sull'idea di Dio. I due argomenti partono entrambi dal fatto che io possiedo l'idea di un essere infinitamente perfetto e lo posso pensare. Possedere l'idea di Dio significa essere in grado di pensare l'infinità di Dio; questo possesso deve essere considerato come una capacità / facoltà, come qualcosa che in potenza sta nella mia mente.
Cartesio non sostiene che noi continuamente pensiamo all'infinito o a Dio e che nasciamo con questo pensiero fisso nella testa. L'innatismo di Cartesio come quasi tutti gli innatismi nella storia della filosofia da Platone in poi è un innatismo virtuale, di capacità come quello di Socrate che nell'opera intitolata "Menone" fa ricordare allo schiavo il teorema di Pitagora.Lo schiavo come tutti gli esseri umani ha in sé la potenzialità intellettuale che gli permette di dimostrare il teorema di Pitagora.
Qualsiasi essere umano dotato di ragione è in grado di pensare l'infinità.
Il secondo argomento per dimostrare l'esistenza di Dio è diverso dal primo in quanto più che chiedersi in questo caso la causa dell'idea di Dio/dell'infinito che c'è in me; il meditante si chiede la causa della sua esistenza in quanto essere capace di pensare l'infinità di Dio. Chi mi tiene in essere?(domanda ontologica causale). La filosofia scolastica rispondeva con un argomento/ tesi denominata "creazione continua". Anche per la metafisica scolastica e per Cartesio l'intero universo decadrebbe ad ogni istante nel nulla se Dio non lo ricreasse a ogni istante; cioè il potere creativo di Dio tiene in essere l'intero universo. Questa è una tesi obbligata perché se si ammettesse che una volta creato il mondo questo possa andare avanti da sé con una causalità autonoma, si lascerebbe supporre che di questa creazione da parte di Dio non ci sia stato molto bisogno; il mondo poteva esistere sempre da sé.
Cartesio si impossessa di questa dottrina e sostiene reinterpretandola alla luce dell'itinerario delle Meditazioni che chi mi tiene in vita- in essere ad ogni istante è colui che soltanto che mi può dare l'essere (un essere dotato di una potenza infinita tale da mantenere in vita o in essere una mente come la mia che è in grado di pensare l'infinità). Ricapitolando:
Il secondo argomento dimostra l'esistenza di Dio dalla domanda: "Chi mi tiene in essere ad ogni istante, io che penso Dio"? A Cartesio non basta dimostrare che esiste un Dio qualsiasi perché vuole dimostrare che esiste un Dio che corrisponde a un preciso concetto cioè all'idea di un essere infinitamente perfetto; solo questo Dio può servirmi a qualcosa: a costituire la garanzia/ il fondamento stesso della conoscenza umana. Entrambi gli argomenti si fondono sul fatto che io ho in me l'idea di un dio e che non potrei avercela se Dio non esistesse veramente.
Cartesio nella terza meditazione asserisce: Ho l'idea di Dio dunque deve esserci una causa di questa idea e tale causa deve avere abbastanza perfezione da produrre quell'effetto.
In altri termini, significa che se c'è un effetto necessariamente deve esserci una causa di questo perché il nulla non può causarlo.
Il principio di causalità si può enunciare anche nella forma: il nulla non ha proprietà o dal nulla non si fa nulla. Il principio di causalità diventa l'ossatura dell'essere; non solo dell'essere creato ma anche di Dio.
Cartesio dirà che Dio è causa di sé stesso (causa sui).
Il dubbio della prima meditazione non investe né i principi logici come il principio di non contraddizione, né il principio di causalità e secondo Cartesio appartiene al lume naturale.
Se non ci fosse il lume naturale non si potrebbe dedurre l'esistenza di Dio. Il lume naturale non è creato da Dio, anzi, Dio stesso è sottoposto a questo in quanto vive nel regime della causalità. Il filosofo David Hume fece una polemica contro il principio di causalità il quale è il principio fondamentale di tutta la metafisica moderna da Cartesio fino a Kant.
Il secondo argomento dimostra l'esistenza di Dio dalla domanda: "Chi mi tiene in essere ad ogni istante, io che penso Dio"? A Cartesio non basta dimostrare che esiste un Dio qualsiasi perché vuole dimostrare che esiste un Dio che corrisponde a un preciso concetto cioè all'idea di un essere infinitamente perfetto; solo questo Dio può servirmi a qualcosa: a costituire la garanzia/ il fondamento stesso della conoscenza umana. Entrambi gli argomenti si fondono sul fatto che io ho in me l'idea di un dio e che non potrei avercela se Dio non esistesse veramente.
Cartesio nella terza meditazione asserisce: Ho l'idea di Dio dunque deve esserci una causa di questa idea e tale causa deve avere abbastanza perfezione da produrre quell'effetto.
In altri termini, significa che se c'è un effetto necessariamente deve esserci una causa di questo perché il nulla non può causarlo.
Il principio di causalità si può enunciare anche nella forma: il nulla non ha proprietà o dal nulla non si fa nulla. Il principio di causalità diventa l'ossatura dell'essere; non solo dell'essere creato ma anche di Dio.
Cartesio dirà che Dio è causa di sé stesso (causa sui).
Il dubbio della prima meditazione non investe né i principi logici come il principio di non contraddizione, né il principio di causalità e secondo Cartesio appartiene al lume naturale.
Se non ci fosse il lume naturale non si potrebbe dedurre l'esistenza di Dio. Il lume naturale non è creato da Dio, anzi, Dio stesso è sottoposto a questo in quanto vive nel regime della causalità. Il filosofo David Hume fece una polemica contro il principio di causalità il quale è il principio fondamentale di tutta la metafisica moderna da Cartesio fino a Kant.
1 commenti:
chissà cos direbbero loro degli ebook...l'unica di cui sarebbero certo è la tua bellezza..
Alessandro
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