Con il termine felicità si indica in generale, uno stato di soddisfazione dovuto alla propria situazione nel mondo. Il concetto di felicità è umano e mondano.
Così è nato nella Grecia antica, dove Talete riteneva felice "colui che ha un corpo sano, buona fortuna e un'anima ben educata".
La buona salute, la fortunata riuscita nella vita e il successo della propria formazione, che costituiscono gli elementi della felicità, sono inerenti alla situazione dell'uomo nel mondo e fra gli altri uomini.
Democrito, in modo pressoché analogo, definiva la felicità come "la misura del piacere e la proporzione della vita", cioè come il tenersi lontani da ogni difetto e da ogni eccesso.
Comunque, felicità e infelicità appartengono all'anima giacché solo l'anima "è la dimora della nostra sorte".
La connessione che è stata spesso stabilita fra felicità e piacere ha lo stesso significato, cioè è connessione tra lo stato definito come felicità e il rapporto con il proprio corpo, con le cose e con gli uomini. La tesi che la felicità sia il sistema dei piaceri, fu espressa con tutta chiarezza da Aristippo che distinse anche il piacere dalla felicità. Solo il piacere è il bene perché solo esso viene desiderato di per se stesso e quindi è il fine in sé.
Platone negava che la felicità consistesse nel piacere e la riteneva invece connessa con la virtù.
"I felici sono felici per il possesso della giustizia e della temperanza e gli infelici, infelici per il possesso della cattiveria", egli dice nel "Gorgia" e nel "Convito" sono detti felici "coloro che posseggono bontà e bellezza".
Ma giustizia e temperanza sono virtù; "possedere bontà e bellezza" significa essere virtuosi; e la virtù non è altro, secondo Platone, se non la capacità dell'anima di adempiere al proprio compito, cioè di dirigere l'uomo nel modo migliore (Rep., I, 353 d sgg.).
Aristotele ha insistito sul carattere contemplativo della felicità nel suo grado eminente, cioè della beatitudine, ma ha dato della felicità una nozione più estesa definendola come "una certa attività dell'anima svolta conformemente a virtù" (Et. Nic., I, 13, 1102 b); la quale non esclude, ma include la soddisfazione dei bisogni e delle aspirazioni mondane. Le persone felici, secondo Aristotele, devono possedere tutte e tre le specie di beni che si possono distinguere, cioè quelli esterni, quelli del corpo e quelli dell'anima ( Ibid., 1153 b 17 sgg.; Pol., VII, 1, 1323 a 22).
E' vero tuttavia che " i beni esteriori , come ogni strumento, hanno un limite entro il quale adempiono la loro funzione di essere utili, come mezzi, ma oltre il quale diventano dannosi o inutili per chi li possiede. E che i beni spirituali invece, quanto più sono abbondanti tanto più sono utili".
Ma in generale si può dire che "Ciascuno merita tanta felicità, per quanto virtù, senno e capacità di agire in conformità egli possiede e si può chiamare a testimonio la divinità che è felice e beata non per beni esteriori ma di per se stessa, per quello che è per natura" (Pol., VII, 1, 1323 b8).
La felicità è perciò accessibile al saggio che è più facilmente basta a se stesso (Et. Nic., X, 7, 1177 a 25) ma è ciò a cui in realtà devono tendere tutti gli uomini e le città.
Democrito, in modo pressoché analogo, definiva la felicità come "la misura del piacere e la proporzione della vita", cioè come il tenersi lontani da ogni difetto e da ogni eccesso.
Comunque, felicità e infelicità appartengono all'anima giacché solo l'anima "è la dimora della nostra sorte".
La connessione che è stata spesso stabilita fra felicità e piacere ha lo stesso significato, cioè è connessione tra lo stato definito come felicità e il rapporto con il proprio corpo, con le cose e con gli uomini. La tesi che la felicità sia il sistema dei piaceri, fu espressa con tutta chiarezza da Aristippo che distinse anche il piacere dalla felicità. Solo il piacere è il bene perché solo esso viene desiderato di per se stesso e quindi è il fine in sé.
Platone negava che la felicità consistesse nel piacere e la riteneva invece connessa con la virtù.
"I felici sono felici per il possesso della giustizia e della temperanza e gli infelici, infelici per il possesso della cattiveria", egli dice nel "Gorgia" e nel "Convito" sono detti felici "coloro che posseggono bontà e bellezza".
Ma giustizia e temperanza sono virtù; "possedere bontà e bellezza" significa essere virtuosi; e la virtù non è altro, secondo Platone, se non la capacità dell'anima di adempiere al proprio compito, cioè di dirigere l'uomo nel modo migliore (Rep., I, 353 d sgg.).
Aristotele ha insistito sul carattere contemplativo della felicità nel suo grado eminente, cioè della beatitudine, ma ha dato della felicità una nozione più estesa definendola come "una certa attività dell'anima svolta conformemente a virtù" (Et. Nic., I, 13, 1102 b); la quale non esclude, ma include la soddisfazione dei bisogni e delle aspirazioni mondane. Le persone felici, secondo Aristotele, devono possedere tutte e tre le specie di beni che si possono distinguere, cioè quelli esterni, quelli del corpo e quelli dell'anima ( Ibid., 1153 b 17 sgg.; Pol., VII, 1, 1323 a 22).
E' vero tuttavia che " i beni esteriori , come ogni strumento, hanno un limite entro il quale adempiono la loro funzione di essere utili, come mezzi, ma oltre il quale diventano dannosi o inutili per chi li possiede. E che i beni spirituali invece, quanto più sono abbondanti tanto più sono utili".
Ma in generale si può dire che "Ciascuno merita tanta felicità, per quanto virtù, senno e capacità di agire in conformità egli possiede e si può chiamare a testimonio la divinità che è felice e beata non per beni esteriori ma di per se stessa, per quello che è per natura" (Pol., VII, 1, 1323 b8).
La felicità è perciò accessibile al saggio che è più facilmente basta a se stesso (Et. Nic., X, 7, 1177 a 25) ma è ciò a cui in realtà devono tendere tutti gli uomini e le città.
L'etica post aristotelica si occupa invece esclusivamente della felicità del saggio; la netta divisione degli Stoici tra saggi e pazzi rende infatti ovviamente inutile occuparsi di questi ultimi. Il saggio è colui che basta a se stesso e che perciò trova in sé esclusivamente la sua felicità che meglio si direbbe beatitudine. Plotino rimprovera alla nozione aristotelica di felicità che, consistendo essa per ogni essere nel concepire la sua funzione e nel raggiungere il proprio fine, può applicarsi benissimo non solo agli uomini ma anche agli animali e alle piante ( Enn., I, 4, 1 sgg.).
E agli Stoici Plotino rimprovera l'incoerenza di porre la felicità nell'indipendenza dalla cose esterne e nello stesso tempo di additare come oggetto della ragione proprio queste cose stesse.
E agli Stoici Plotino rimprovera l'incoerenza di porre la felicità nell'indipendenza dalla cose esterne e nello stesso tempo di additare come oggetto della ragione proprio queste cose stesse.
Per Plotino, la felicità, è la vita stessa; perciò mentre appartiene nel grado più eminente alla vita più completa e perfetta che è quella dell'intelligenza pura. Il saggio, in cui tale vita si realizza, è bene a se stesso: non ha bisogno che di se stesso per essere felice e non cerca le altre cose o almeno le cerca solo perché sono indispensabili alle cose che gli appartengono (per es., al corpo) e non a lui stesso. La felicità del saggio non può essere distrutta né dalla cattiva fortuna né dalle malattie fisiche e mentali né da alcuna circostanza sfavorevole, come non può essere aumentata dalle circostanze favorevoli (Ibid., I, 4, 5 sgg.) è perciò la stessa beatitudine di cui godono gli Dei.
Dall'Umanesimo in poi la nozione di felicità comincia a essere strettamente legata ( com'era già stata per i Cirenaici ed Epicurei) con quella di piacere. Il De voluptate di Lorenzo Valla è imperniato su questa connessione; e tale connessione si accentua nel mondo moderno. Essa trova concordi Locke e Leibniz.
Locke dice che la felicità "è il massimo piacere di cui siamo capaci e l'infelicità è la massima pena; e l'infimo grado di ciò che può essere chiamato felicità è di essere tanto liberi da ogni pena e di aver tanto piacere presente da non poter essere contenti con meno".( Saggio, I, 21, 43).
E Leibniz: " Io credo che la felicità sia un piacere durevole, ciò che non potrebbe accadere senza un progresso continuo verso nuovi piaceri" ( Nouv. Ess., II, 21, 42).
La nozione della felicità come piacere o come somma o meglio come "sistema" di piaceri, secondo l'espressione del vecchio Aristippo, comincia con Hume ad acquistare in significato sociale: la felicità diventa piacere diffusibile, il piacere del maggior numero e in questa forma la nozione di felicità diventa la base del movimento riformatore inglese dell' 800.
Nel frattempo Kant, riteneva impossibile porre la felicità a fondamento della vita morale, ne chiariva tuttavia efficacemente la nozione senza ricorrere a quella di piacere. "La felicità, dice Kant, è la condizione di un essere razionale nel mondo al quale, nell'intero corso della sua vita, tutto avvenga secondo il suo desiderio e la sua volontà" ( Crit. R. Prat., Dialettica, Sez. 5).
Si tratta perciò di un concetto che l'uomo non trae dagli istinti e non deriva da ciò che in lui è animalità, ma che egli si forma in modi diversi e che cambia spesso e arbitrariamente (Crit. del Giud., § 83). Kant ritiene che la felicità faccia parte integrante del sommo bene, il quale è per l'uomo la sintesi di virtù e felicità. Ma come tale il sommo bene non è realizzabile nel mondo naturale; e non è realizzabile sia perché nulla garantisce in questo mondo la perfetta proporzione tra moralità e felicità in cui il sommo bene consiste; sia perché nulla garantisce quel soddisfacimento pieno di tutti i desideri e tendenze dell'essere razionale in cui la felicità consiste.
Nel mondo naturale pertanto la felicità è dichiarata da Kant impossibile e rinviata in un mondo intelligibile che è "il regno della grazia" (Crit. R. Pura, Dottrina del metodo, cap. II, sez. 2).
Kant ha avuto il merito, in primo luogo, di enunciare in modo rigoroso la nozione di felicità e in secondo luogo quello di dimostrare che tale nozione è empiricamente impossibile, cioè irrealizzabile.
Ricondotta al concetto di soddisfazione assoluta e totale- sul quale aveva anche insistito anche Hegel- la felicità diviene l'ideale di uno stato o condizione inattingibile, salvo che in un mondo soprannaturale e per intervento di un principio onnipotente.
Non fa quindi meraviglia che tutta quella parte della filosofia moderna che è passata attraverso il filtro del kantismo abbia trascurato la nozione di felicità e non se ne sia avvalsa per l'analisi di ciò che l'esistenza umana è e deve essere.
Tuttavia l'empirismo inglese aveva iniziato con Hume un nuovo sviluppo in senso sociale della nozione, sviluppo che è proprio dell'utilitarismo. Hume aveva osservato che "nel far le lodi di qualche persona benefica e umana" non si manca di mettere in luce " la felicità e la soddisfazione che derivano alla società umana dalla sua azione e dai suoi buoni uffici" (Inq. Conc. Morals, II, 2). E pertanto aveva identificato ciò che è moralmente buono con ciò che è utile e benefico.
Dopo di lui Bentham riprendeva, come fondamento della morale, la formula di Beccaria: "La massima felicità possibile del maggior numero possibile di persone" formula a cui si ispirarono anche James Mill e John Stuart Mill.
Nella tradizione culturale inglese e americana, la nozione di felicità ha ispirato oltreché il pensiero filosofico. Il principio della massima felicità è rimasto per lungo tempo la base del liberalismo moderno di stampo anglosassone.
La Costituzione americana ha incluso fra i diritti naturali e inalienabili dell'uomo " la ricerca della felicità". A questa tradizione si collega Bertrand Russell, che è stato uno dei pochi a difendere oggi la nozione di felicità, sia pure in un libro a carattere popolare (La conquista della felicità, 1930). Ciò che Russell aggiunge di nuovo alla nozione tradizionale di felicità, è una condizione che egli ritiene indispensabile, cioè la molteplicità degli interessi, dei rapporti dell'uomo con le cose e con gli altri uomini, perciò l'eliminazione dell' "egocentrismo", della chiusura in se stessi e nelle proprie passioni. Si tratta di una condizione che pone la felicità al polo opposto di quella autosufficienza del saggio in cui gli antichi ponevano il grado più alto di essa.
Dall'altro lato i filosofi, non riuscendo più a utilizzare la nozione di felicità come fondamento o principio della vita morale, si sono, di regola, disinteressati della nozione stessa.( N. A.).
Dov’è?..Dov’é’? Fin là!!
Dov’è?.Dov’è?
Questa felicità?
La Costituzione americana ha incluso fra i diritti naturali e inalienabili dell'uomo " la ricerca della felicità". A questa tradizione si collega Bertrand Russell, che è stato uno dei pochi a difendere oggi la nozione di felicità, sia pure in un libro a carattere popolare (La conquista della felicità, 1930). Ciò che Russell aggiunge di nuovo alla nozione tradizionale di felicità, è una condizione che egli ritiene indispensabile, cioè la molteplicità degli interessi, dei rapporti dell'uomo con le cose e con gli altri uomini, perciò l'eliminazione dell' "egocentrismo", della chiusura in se stessi e nelle proprie passioni. Si tratta di una condizione che pone la felicità al polo opposto di quella autosufficienza del saggio in cui gli antichi ponevano il grado più alto di essa.
Dall'altro lato i filosofi, non riuscendo più a utilizzare la nozione di felicità come fondamento o principio della vita morale, si sono, di regola, disinteressati della nozione stessa.( N. A.).
"Stato d’animo di chi è felice; gioia, contentezza "
Definizione del Vocabolario della Lingua Italiana - De Mauro
La gioia non la si trova negli oggetti che ci circondano,
ma nel più profondo dell'anima.
ma nel più profondo dell'anima.
Madre Teresa
Un uomo gira tutto il mondo in cerca di quello che gli occorre,
poi torna a casa e lo trova.
poi torna a casa e lo trova.
George Moore
L'uomo non può essere partecipe della felicità o dell'infelicità
altrui fin tanto che non si sente egli stesso soddisfatto.
altrui fin tanto che non si sente egli stesso soddisfatto.
Kant
Non si è mai tanto felici né tanto infelici quanto si crede.
La Rochefoucauld
La felicità non consiste nell'acquistare e godere,
ma nel non desiderare nulla, perché consiste nell'essere liberi.
ma nel non desiderare nulla, perché consiste nell'essere liberi.
Epitteto
La felicità è benefica per il corpo,
ma è il dolore che sviluppa i poteri della mente.
Marcel Proust
Il ricordo della felicità non è più felicità,
il ricordo del dolore è ancora dolore.
il ricordo del dolore è ancora dolore.
Albert Einstein
Esercitare liberamente il proprio ingegno,
ecco la vera felicità.
ecco la vera felicità.
Aristotele
Mai si è troppo giovani o troppo vecchi
per la conoscenza della felicità (...).
Da giovani come da vecchi è giusto
che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità.
per la conoscenza della felicità (...).
Da giovani come da vecchi è giusto
che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità.
Epicuro
C'è un unico errore innato, ed è quello di credere
che noi esistiamo per essere felici.
che noi esistiamo per essere felici.
Schopenhauer
L'uomo più felice è quello che è in grado di collegare
la fine della sua vita con l'inizio di essa.Goethe
Se vuoi una vita felice, devi dedicarla a un obiettivo,
non a delle persone o a delle cose.
non a delle persone o a delle cose.
Einstein
Penso che prima di tutto essere in buona salute vi rende felici,
ma funziona anche nell'altro modo.
Secondo me è molto meno probabile che un uomo felice
si ammali che non un uomo infelice.
ma funziona anche nell'altro modo.
Secondo me è molto meno probabile che un uomo felice
si ammali che non un uomo infelice.
Russell
La felicità non consiste nell'acquistare e godere
ma nel non desiderare nulla, perché consiste nell'essere liberi.
ma nel non desiderare nulla, perché consiste nell'essere liberi.
Epitteto
Tutto quel che sapete far bene contribuisce alla vostra felicità.
Russell
La felicità è benefica per il corpo,
ma è il dolore che sviluppa i poteri della mente.Marcel Proust
Il ricordo della felicità non è più felicità,
il ricordo del dolore è ancora dolore.
il ricordo del dolore è ancora dolore.
Albert Einstein
Esercitare liberamente il proprio ingegno, ecco la vera felicità.
Aristotele
La sola felicità è quella di non nascere.
Schopenhauer
Personalmente ritengo che la felicità non è una meta, un traguarda da raggiungere.
La felicità è uno stile di vita. La felicità è svegliarsi col sorriso stampato sulla bocca.
Il mondo ti sorride se lo guardi sorridendo, diceva Jim Morrison.
Perché complicarsi la vita quando la felicità ce l’hai a portata di mano?
La felicità è in un bacio, in un’abbraccio, in una risata. La felicità sei tu. La porti in giro, la dispensi agli altri.
E' cercare sempre di ottenere il meglio. Ma il meglio inteso per quello di cui tu hai più bisogno.
E' capire che le crisi sono di passaggio. Che quando ti senti una nullità, non lo sei. Perché basta la minima cosa per farti cambiare idea su te stesso.
Perché noi siamo gli artefici della nostra vita, della nostra felicità, del nostro tutto.
Noi possiamo arrivare al paradiso, come possiamo arrivare all’inferno.
Sta a noi scegliere qual’è la strada migliore per noi.
Perché non è detto che la strada migliore per noi vada bene anche per gli altri.
Questa Felicità?
Dov’è?..Dov’è? Fin là!!
Dov’è?..Dov’é’? Fin là!!
Dov’è?.Dov’è?
Questa felicità?
Dov’è?
Alzarla e combattere con gli avvenimenti della vita.
Sempre in ricerca di qualcosa di più.
Qualcosa di più che abbiamo.
Qualcosa di più che proviamo.
Sempre spingersi al limite. La ricerca di qualcosa che non c’è, che non hai.
La ricerca della Felicità.
Dov’è la Felicità?
Cos’è la Felicità?
Cos’è la Felicità?
La Felicità che molti cercano, che individuano in qualcosa che oggi c’è, e domani non c’è più.
E oddio, non è sbagliato. Per certi versi quella felicità è quella che ci appaga di più.
E oddio, non è sbagliato. Per certi versi quella felicità è quella che ci appaga di più.
La Felicità cos’è per voi?
Per me..
..per me?
Per me..
..per me?
Per me..è un qualcosa..una..
..sapete che non lo so?
..sapete che non lo so?
Cosa forse dovrebbe essere?
Credo che la Felicità -per me- è..
Stare con le persone che amo.
Parlarci assieme.
Provare dei sentimenti sinceri.
Credo che la Felicità -per me- è..
Stare con le persone che amo.
Parlarci assieme.
Provare dei sentimenti sinceri.
Studiare filosofia.
Leggere.
Scrivere i miei pensieri.
E' una sensazione che non si può descrivere.... è diversa per ognuno di noi... è unica proprio perché la chiamiamo felicità.... è quando arriviamo a toccare le stelle con un dito, quando ci sembra di essere i migliori, quando ci sentiamo realizzati.... però, tutto questo, dura solamente qualche istante, non di più... poi scompare e si ritorna alla vita monotona con un ricordo in più.... un ricordo bello, ma un ricordo.... un esperienza... una sensazione.... una cosa fantastica.... felicità....
La felicità è vivere bene con il mondo, saper apprezzare le cose semplici. Dare valore alle piccole cose, ai sentimenti non alle cose materiali. Per me è questa la felicità!
E' cambiare il nostro punto di vista in continuazione, evolversi, saper ragionare con la propria testa.Alzarla e combattere con gli avvenimenti della vita.
Sempre in ricerca di qualcosa di più.
Qualcosa di più che abbiamo.
Qualcosa di più che proviamo.
Sempre spingersi al limite. La ricerca di qualcosa che non c’è, che non hai.
La ricerca della Felicità.
7 commenti:
Ognuno ha una propria interpretazione della felicità ed è un concetto così soggettivo che qualsiasi definizione non sarà mai più giusta o sbagliata di un'altra! Preferisco non aggiungermi all'elenco di fisolofi con un mio pensiero, il paragone sarebbe "inappropriato", ma un piccolo "appunto" ci starebbe bene: "Domandati se sei felice e subito non lo sarai più...".
Luigi
Allegria!!!
Allegria!!! M. Bongiorno
la felicità. cos'è la felicità? per me è leggere il tuo blog e sapere che c'è una ragazza speciale che si dedica con tanto amore alla filosofia..un bacio alla fata elisa
Alessandro
ciao...filosofa....da casa tua.....questo è un bellissimo sito...molto interessante per fare diventare un pò filosofo anche a me
a presto (che è tardi)
Marvy
ciao filosofa ...... il mio commento è grazie per aver fatto un bel sito....io non so nemmeno come si fa e forza.....per quello che vuoi realizzare nella tua vita Marvy
credo
nella felicità che sta nelle piccole cose
nella felicità che sta nell'attesa
nella felicità di "un panino e un bicchiere di vino"
nella felicità che viene dalla felicità degli altri
...in migliaia di modi è stata definita...
che sia una meta, un mezzo, o il viaggio stesso,
credo nella felicità in quanto unica motivazione di ogni singolo gesto dell'uomo.
Posta un commento