" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Amore e filosofia

venerdì 25 marzo 2011

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Un percorso tematico attraverso la storia della filosofia.
  
Bibliografia:

 - Aristotele - Metafisica (su Esiodo e Parmenide)
 - Parmenide - Frammenti
 - Platone - Liside
 - Platone - Simposio
 - Platone - Fedro
 - Robin - La teoria platonica dell’amore (1964)
 - Aristotele - De anima; Etiche; Metafisica
 - Foucault - Storia della sessualità (1976 e 1984)
 - Foucault - La volontà di sapere (1976)
 - Plotino - Enneadi
 - Vangelo di Matteo; Vangelo di Luca; Prima lettera di Giovanni; Lettere di Paolo
 - Agostino - Commento a Giovanni
 - Agostino - Amore assoluto e “terza navigazione” - Rusconi
 - Agostino - De Trinitate
 - Tommaso d’Aquino - Summa teologica
 - Campanella - Metafisica
 - Pascal - Pensieri
 - Cartesio - Le passioni dell’anima
 - Hume - Trattato sulle passioni
 - Leibniz - Opere
 - Spinoza - Etica
 - Kant - Critica della ragion pratica
 - Schlegel - Scritti
 - Hegel - Scritti teologici giovanili (Sull’amore)
 - Hegel - Lo spirito del cristianesimo e il suo destino
 - Hegel - Fenomenologia dello spirito
 - Kojève - La dialettica e l’idea della morte in Hegel (1948)
 - Schopenhauer - Metafisica dell’amore sessuale
 - Feuerbach - L’essenza del cristianesimo
 - Freud - Il disagio della civiltà
 - Freud - Al di là del principio di piacere (1920)
 - Scheler - Natura e forma della simpatia (1923)
 - Sartre - L’essere e il nulla (1943)
 - Fromm - L’arte di amare. È possibile l’amore nella civiltà repressiva? (1956)
 - Klein-Rivière - Amore odio e riparazione (1969)
 - Eibl-Eibesfeldt - Amore e odio. Per una storia naturale dei comportamenti elementari (1971)
 - Barthes - Frammenti di un discorso amoroso (1977)
  





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LA TRACCIA

Premessa (il linguaggio comune). 
Il filo conduttore è un vero e proprio ti estì socratico: che cosa è “amore”? e che rapporto ha con la filosofia? ovvero come è stato pensato dai filosofi? È chiaro che ci troveremo, almeno in prima istanza, a trattare dell’amore come forza cosmica o comunque in una dimensione universale e filosofica più che come rapporto tra singole persone, ma è altrettanto ovvio che la teorizzazione filosofica è in stretta connessione con la pratica dei rapporti personali: il tentativo sarà così quello di confrontare le teorie filosofiche col nostro pensiero comune. In questa prospettiva, il metodo del percorso vuole essere di tipo essenzialmente zetetico: lo scopo è cioè la promozione di una sorta di laboratorio di lettura e di discussione filosofica, più che lo studio delle diverse teorie dell’amore. In questa prospettiva è stato scelto un tema che tocca così intensamente e da vicino l’età adolescenziale e per questo motivo si è scelto di configurare il percorso come un canovaccio di appunti e non come materiale per lezioni frontali.
Il termine “amore” sembra indicare realtà estremamente lontane fra loro: può indicare una energia umana o cosmica, una proprietà dell’animo umano o uno stato più o meno duraturo dello stesso, un impulso o un’inclinazione. Nel linguaggio comune può indicare in senso proprio a) un rapporto intersessuale selettivo ed elettivo, b) un tipo di rapporti interpersonali, c) l’amor del prossimo, d) l’amor di Dio. Inoltre può indicare in senso improprio l’attaccamento o l’interesse per oggetti inanimati o ideali, per attività o forme di vita, per comunità o enti collettivi. L’idea che di conseguenza si delinea è quella di un tipo particolare di rapporti umani caratterizzati da solidarietà e concordia, e non necessariamente, al contrario, dal possesso.





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Presocratici. 
Secondo Aristotele (Met I, 4, 984b 25 e segg.), Esiodo e Parmenide furono i primi a suggerire che l’Amore è la forza che muove le cose e le porta e le mantiene insieme. Empedocle riconobbe poi nell’Amore la forza che tiene uniti i quattro elementi e nella discordia la forza che li separa: il regno dell’A. è lo sfero, la fase culminante del ciclo cosmico, nella quale tutti gli elementi sono legati nella più completa armonia, in questa fase non c’è altro che un tutto uniforme, una divinità che gode della sua solitudine (Fr. 27, Diels). 

Platone. 
 - Liside: si pone qui il problema della philia: ovvero amico è colui che ama o colui che è amato? Si sceglie la seconda risposta, ma in realtà si è giunti in unempasse. Infatti l’amicizia non sembra riconducibile né al principio empedocleo secondo cui “il simile è sempre amico del suo simile”, né a quello eracliteo secondo cui “il contrario è amico del contrario”. L’amico viene allora definito come intermedio e si collega così costitutivamente al filosofo che è per essenza a metà strada tra sapienza e ignoranza (in quanto sa di non sapere). L’empasse non viene risolto, ma emerge il tema fondamentale: la funzione erotica della filosofia o filosofica dell’eros, e con essa il concetto di desiderio. 
 - Simposio: Si confrontano diverse teorie: Fedro, che incarna il senso comune, sostiene che Eros è il più antico degli dei e offre il bene dei legami. Pausania pone al centro il rapporto tra pederastia e etica: distinguendo in questa prospettiva tra eros volgare o terrestre, da riservare alle donne e ai corpi, e eros celeste, da offrire agli uomini che hanno di mira la virtù. Il medico Erissimaco mette in luce la duplicità di Eros, che è in realtà la duplicità cosmica del fondersi dei contrari. La teoria di Aristofane, che probabilmente racchiude i temi fondamentali delle dottrine non scritte di Platone, si incarna nel celeberrimo racconto di una antropogenesi fantastico-mitica, in cui l’amore si configura come ricerca dell’altra metà (symbolon) per fare di due uno, risanando l’originaria natura umana. Eros è, dunque, (inconsapevole) desiderio dell’intero, della primordiale unità. Il tragico Agatone propone un raffinato elogio di amore, ma che poco contribuisce al dibattito.
Socrate, che, introducendo argomenti rivoluzionari, si fa portavoce di Diotima, definisce amore come il desiderio di ciò che manca. Eros allora non è un Dio, ma un demone, qualcosa di intermedio (200a e segg.): in senso verticale tra dei e uomini, in senso orizzontale tra i contrari (in primis Poros e Penia). In quanto tale, Eros è tendenza al Bene (205e), risale dalla bellezza di un corpo a quella in tutti i corpi, a quella delle anime, e infine a quella nel sapere, cioè alla visione del Bello in sé (210a e segg.). Insomma Eros è intermedio anche tra sapienza e ignoranza, cioè è filosofo, è il demone della conoscenza. Inoltre Eros è desiderio di vincere la morte attraverso la generazione (208 a, b). 
 - Fedro (249 e segg.): partendo dal discorso di Lisia (che sostiene sia meglio amare chi non ama e non chi ama), Socrate inizialmente descrive Eros come prevalere del desiderio irrazionale sulla rettitudine; ma poi con il mito del carro alato mette in mostra come sia grazie al delirio divino di Eros che l’uomo può risalire attraverso reminiscenza dalla bellezza terrena a quella vera e raggiunge l’ekstasis. Sullo sfondo c’è quindi ancora un dualismo tra due tipi di eros, ma Eros comunque si rivela desiderio di immortalità. 



 - [Robin – La teoria platonica dell’amore]: la natura dell’eros platonico è sintetica e intermedia. Ovvero la sua funzione mediatrice è la stessa attribuita all’anima (medium e copula dell’universo); dunque l’anima è il demone che alberga in ogni uomo e la sua tensione, il suo desiderio è essenzialmente erotico. Inoltre, per Platone, Eros è filosofo e il filosofo è il perfetto amante, perché eros è il principio motore del fare e del conoscere. Più precisamente: vista l’umana debolezza, la mediazione di Eros si pone come necessaria ed essenziale per orientare l’anima verso il mondo delle Idee. Il metodo erotico è come un metodo filosofico, una “dialettica ascendente empirica” che è dono divino e che porta l’uomo fuori di sé (ekstasis) permettendogli di ascendere al bello assoluto (anche se non può raggiungere il vero in sé che solo la dialettica razionale può cogliere). Inoltre (come si evince dal Fedro e dal Fedone), Eros è preparazione all’unico vero affrancamento, cioè è esercizio di morte come morte dell’io nell’entusiasmo-delirio-mania (non a caso nel Cratilo Platone paragona Ade a Eros).










Aristotele. 
Aristotele sceglie di non affrontare la questione sul piano metafisico e si limita, quindi, ad alcune considerazioni sparse nel De anima e nelle due Etiche. L’amore, come l’odio, è un’affezione dell’uomo in quanto sinolo (nasce cioè dalla sua deficienza), e in quanto tale è o amore sessuale o amicizia (sulla philìa si sofferma particolarmente). Aristotele, però, afferma anche (Met XII 7 1072b 3) che, nell’ordinamento finalistico del mondo, Dio, come Primo Motore immobile, muove altre cose “come oggetto d’amore”, cioè come termine del desiderio che le cose hanno di raggiungere la perfezione di lui. Questa notazione, che fa rispuntare la dimensione metafisica dell’amore, sarà enormemente adoperata dal pensiero medioevale che si riferiva ad un Aristotele molto neoplatonico. 



[Foucault]. 
Riferimento fondamentale nell’analisi dell’eros nella civiltà antica costituiscono i tre volumi della Storia della sessualità di Michel Foucault. Nel primo, La volontà di sapere, viene analizzato il meccanismo del dispositivo sessuale nell’età contemporanea: si scopre così che la sessualità, lungi dall’essere rimossa, è invece posta al centro dei discorsi e delle pratiche come un’energia che viene incessantemente suscitata e gestita (cfr. in particolare le ultime 3-4 pp.).
Foucault ha il grande merito di contrastare l’idea che la sessualità sia un dato naturale e immutabile e di mettere in luce in quale modo la sessualità sia stata storicamente determinata. La storicizzazione della sessualità innesca un’analisi genealogica che occupa i seguenti volumi (che in origine dovevano essere tre). Nel secondo, L’uso dei piaceri, si considerano le teorie e le pratiche sessuali della polis greca. Si scopre così, attraversando le considerazioni dietetiche, economiche, morali oltre che più strettamente erotiche, un legame profondo tra sessualità e verità, tra eros e filosofia, originato dalla preoccupazione pedagogica che sta all’origine. L’ideale che ne emerge è quello di un’estetica dell’esistenza intesa nel senso più ampio e profondo. Il terzo, La cura di sè, affronta i primi due secoli della nostra era, dove attraverso gli scritti in particolare degli stoici si afferma, nel generale rafforzamento delle tematiche di austerità, per la prima volta una preoccupazione individuale, “privata”.



Plotino. 
Il neoplatonismo individua nell’amore una delle fasi della via che conduce a Dio: è la via preparatoria che conduce alla visione dell’Uno perché l’oggetto dell’amore, secondo Platone, è il bene e l’Uno è il bene più alto (Enn VI 7 22). Anche se poi è necessaria l’intuizione per realizzare il congiungimento. 



Cristianesimo. 
È Agostino a segnare il passaggio dall’Eros platonico (amare Dio in sé) all’Agape cristiana (amare sé in Dio): mentre Eros era un umano risalire (pur culminando nell’ekstasis), Agape cristianamente può solo discendere da Dio. Con il messaggio cristiano l’Amore assume una nuova centralità, caratterizzata in secundis dall’essere un comando e in primis dalla dimensione universale e cioè dalla coincidenza di Dio e Amore (Matt 5 44; Luc 10 29 e segg. il buon samaritano; Prima Lettera di Giovanni, I, 4, 7 e segg.), che sovverte le concezioni ebraica ed ellenistica e che pone Dio come oggetto (e più precisamente unico oggetto: non si ama l’altro in quanto tale, ma Dio nell’uomo) e soggetto (il Dio Padre) di amore. Ma allora anche nel pensiero cristiano Amore rivela un legame stretto con la morte, poiché è nella morte in croce che amore culmina e Dio e Agape realizzano la loro coincidenza.
Inoltre, con le Lettere di Paolo (Cor I 13 7-13) agape diviene fondamentale anche come vincolo della comunità religiosa. Nota: mentre nessuna concezione cristiana metterà in discussione l’idea di Dio oggetto di amore, al contrario l’idea di Dio soggetto di amore susciterà non pochi problemi: infatti secondo la concezione classica, modellata sull’esperienza umana, l’amore ha come sua condizione la mancanza, il desiderio, il bisogno, non attribuibili a Dio. 



Agostino. 
(Rif. Bibl.: Commento a Giovanni; Amore assoluto e “terza navigazione” - Rusconi; De Trinitate VIII, 7-10). Commentando la Prima Lettera di Giovanni e il suo Vangelo, Agostino si trova di fronte al problema della traduzione del termine agape: sceglie i termini caritas e dilectio per indicarne il senso positivo, amor per indicare l’amore del bene come del male. Comunque, per Agostino Dio è Amore (più precisamente lo Spirito Santo è amore, mentre Dio Padre è l’essere e Dio Figlio la verità). L’amore dunque non è un demone, ma Dio stesso: e infatti nel messaggio cristiano il mediatore è Dio stesso (fattosi uomo).
L’amore di Dio esclude, allora, quello del mondo ed è essenzialmente iniziativa divina e non umana; anche se la vita del cristiano deve configurarsi proprio come esercizio del desiderio, al fine di renderlo più santo possibile. Ciò significa che il culmine dell’Agape è nel dono della vita, cioè nella morte: il santo desiderio è desiderio di morte. Questo desiderio si configura però anche nella coincidenza tra agape verticale e agape orizzontale. È possibile, cioè, amare Dio attraverso una mediazione creaturale e sensibile: l’amore per l’altro (“amatevi vicendevolmente come io vi ho amati”). La teoria agostiniana dell’amore si riassume così nel celebre detto “dilige, et quod vis fac”, poiché dalla radice dell’amore non può derivare se non il bene, ma il vero amore è solo caritas e non cupiditas. Cioè “non ama se stesso chi ama se stesso e non Dio, ama invece se stesso chi ama Dio e non se stesso”: in questo senso l’amor sui fonda la città terrestre, l’amor Dei quella celeste. 








Medioevo. 
La concezione agostiniana verrà ripresa ed elaborata per tutto il medioevo dagli agostiniani (da Scoto Eriugena a Duns Scoto) e dai mistici. Mentre gli aristotelici preferiranno riprendere l’analisi dello Stagirita dell’amicizia per adattarla alla caritas cristiana: in particolare Tommaso d’Aquino (S Th I q. 60 a. 1) distingue l’amore naturale (amor concupiscientiae) da quello intellettuale (amor benevolentiae, coincidente con la caritas) e definisce l’amore (S Th II 1 q. 28 a. 1 ad 2°; S. Th II 2 q. 23 a. 1) una specie di unione o vincolo di natura affettiva (simile all’unione sostanziale) che caratterizza il rapporto tra uomo e Dio.



Rinascimento. 
Il platonismo rinascimentale accentua la reciprocità dell’amore tra Dio e l’uomo, rivalutando così la dignità dell’uomo. Marsilio Ficino vede nell’amore il legame cosmico e una prospettiva simile è alla base dei Dialoghi d’Amore di Leone Ebreo che ebbero nel ‘500 vastissima diffusione. E ancora: per Campanella (Met VI, in partic. il proemio), che si rifà ad Agostino, l’amore costituisce una delle tre primalità dell’essere, cioè dei principi costitutivi del mondo. 



Età moderna. 
Nell’età moderna si ripresenta con forza il problema di Dio come soggetto di amore e, contrariamente ad Agostino, non pochi pensatori escludono questa ipotesi (Malebranche) o si sottraggono alla difficoltà (come i panteisti tipo Spinoza, e poi Schelling e Hegel, che fanno coincidere amore con l’unità, cioè con una situazione in cui il problema stesso, non essendoci separazione, non ha più senso).
Anche nelle celebri parole di Pascal (Pen 556 Brunschwicg) viene lasciata sospesa la questione: «Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei Cristiani, è un Dio di Amore e di consolazione, è un Dio che riempie l’anima e il cuore di quelli ch’Egli possiede e fa loro sentire interiormente la loro miseria e la Sua misericordia infinita».
Cartesio e Hume analizzano l’amore in modo positivo e ‘naturalistico’ come una passione dell’anima. Il primo (Pass. de l’âme II 79-83) distingue l’amore in relazione agli oggetti amati (e distingue principalmente tra possesso e amicizia) e all’intensità: quando stimiamo l’oggetto meno di noi proviamo affetto, quando ugualmente amicizia, quando di più devozione (della quale oggetto principale è ovviamente Dio). Il secondo (Diss. on the passions II 2) ritiene l’amore un’emozione indefinibile della quale è però possibile intendere il meccanismo.
La definizione più famosa e che ebbe più influenza è quella però con cui Leibniz tentò di risolvere la contraddizione tra due verità, ovvero tra il fatto che non possiamo desiderare se non il nostro bene e il fatto che nell’amore cerchiamo il bene dell’oggetto amato di per se stesso: «Quando si ama sinceramente una persona non si cerca il proprio profitto né un piacere staccato da quello della persona amata, ma si cerca il proprio piacere nell’appagamento e nella felicità di questa persona» (Op Phil ed. Erdmann p. 789-90). Questa nozione ha inoltre il pregio di poter essere riferita all’amore divino come a quello umano. 



Spinoza. 
Spinoza elabora due concetti di amore. In primo luogo, è una affezione dell’anima come ogni emozione e quindi in questo senso Dio non può amare nessuno (Et V 17 corol), ma esiste poi un amor Dei intellectualis che è la visione di tutte le cose nel loro ordine necessario, cioè in quanto derivano dall’essenza stessa di Dio (Et V 29scol 32corol). Questo amore intellettuale è eterno ed è quello con cui Dio ama se stesso, ovvero l’amore intellettuale della mente è parte dell’amore infinito con cui Dio ama se stesso. Ne consegue che “Dio, in quanto ama se stesso, ama gli uomini e per conseguenza che l’amore di Dio verso gli uomini e l’amore intellettuale della mente verso Dio, sono la medesima cosa” (Et V 36 corol). Questo amore è la nostra libertà e salvezza, che i libri sacri chiamano “gloria” (Et V 36 scol). In questa concezione spinoziana, che tanto influenzerà il Romanticismo, l’amore cessa di riferirsi all’esperienza umana e diviene il concetto metafisico dell’unità di Dio con se stesso e col mondo. 


Kant. 
Nessuno degli scrittori del ‘700 mette in dubbio il fondamento sensibile dell’amore e non fa eccezione Kant che distingue risolutamente tra amore sensibile o “patologico” e amor “pratico” cioè morale che è comandato dalla massima cristiana (Rag Pr I cap. 3). 







Romanticismo. 
Il primo Romanticismo riprende la prospettiva spinoziana nel tentativo di mostrare l’unità intrinseca di finito e infinito. L’amore viene allora concepito come la capacità di cogliere l’Assoluto nelle creature finite: in questo senso poesia, sentimento e amore vengono a coincidere. Scrive F. Schlegel: “La sorgente e l’anima di tutte le emozioni è l’amore; e lo spirito dell’amore deve nella poesia romantica esser presente ovunque, invisibile e visibile” (Prosaischen Jugendschriften, ediz. Minor, II, p. 371). Le caratteristiche dell’amore romantico come brama esaltata (e rigorosamente spirituale) di infinito segnano ancora oggi in profondità la nostra nozione comune di amore. 


Hegel. 
 - Scritti teologici giovanili (1793-1800): Religione popolare e cristianesimo, Sull’amore, Frammento sistematico. L’amore è unificazione che esclude ogni opposizione, ma ha in sé la possibilità del mortuum (cioè il corpo), della separazione degli amanti. Questa morte viene apparentemente superata con l’orgasmo (indistinzione dei due) e la produzione di un embrione di immortalità; ma in realtà il proprium (ossia il corpo portatore della mortalità) resiste all’unificazione riproducendosi nel nuovo vivente. In pratica il giovane Hegel pone sul medesimo piano e con la stessa funzione operativa di creare unità, la vita infinita, lo spirito di Dio e Amore. 
 - Ne Lo spirito del cristianesimo e il suo destino, Hegel individua nell’amore (inteso come amore di Dio, in senso oggettivo e soggettivo) l’essenza della religione cristiana e il sentimento in grado di operare la conciliazione degli opposti nell’unità dialettica; ma ritiene inevitabile il superamento di questa religione in quanto immersa in una insanabile contraddizione, infatti il cristianesimo non può evitare di mondanizzarsi, di divenire religione positiva e reincontrare così il mortuum e il proprio destino (cfr. De Negri p. 18 e segg.). 
 - Con la Fenomenologia il Liebe viene sostituito dalla ragione dialettica. La dialettica dello spirito desiderante però non scompare ma rientra come parte (per quanto fondamentale) di quella dello spirito conoscente: la dinamica di Begierde e Anerkennung realizza la trasformazione del desiderio in desiderio di riconoscimento. Infatti, la spinta propulsiva che caratterizza il luogo antropogenico del pensiero hegeliano risiede nel desiderio di altro-da-sé, che è tutt’uno con lo stesso desiderio di sé (della pienezza del proprio sé), che è tutt’uno con Eros, in quanto il Selbst dell’autocoscienza si trova costitutivamente in uno stato di desiderio sempre inappagato (cfr.Kojéve). 
 - Persiste comunque anche in opere più mature di Hegel l’idea romantica: “l’amore esprime in generale la coscienza della mia unità con un altro” (Fil. del dir. par. 158 aggiunta); “la vera essenza dell’amore consiste nell’abbandonare la coscienza di sé nell’obliarsi in un altro se stesso e tuttavia nel ritrovarsi e possedersi veramente in quest’oblio” (Lezioni di estetica, edit. Glockner II p.149, pp.178-79). Più interessante quanto si trova in Lezioni sulla filosofia della religione (edit Glockner II p.304): Dio è l’amore-morte, è la morte come culmine dell’amore e l’amore come coincidenza dialettica degli inconciliabili (vita e morte, umano e divino). Ritorna l’idea cristiana della Croce come luogo in cui morte si coniuga con amore. 


Schopenhauer. 
Distingue tra amore sessuale o eros, che è il cieco strumento della volontà (Metaf dell’amore sess), e amore puro o agape (in cui persiste l’idea romantica), che è compassione per il dolore cosmico e percezione quindi dell’unità fondamentale (Mondo I par 67). 


Feuerbach. 
Trasferisce l’unità di soggettivo e oggettivo dall’Infinito all’uomo nella sua finitudine: l’amore rimane però romanticamente unità e identità. Feuerbach delinea poi l’estensione progressiva dell’amore dall’oggetto sessuale fino alla “umanità nel suo complesso”, oggetto più alto dell’amore e ideale morale per eccellenza (Ess. Crist.). 


Freud. 
Si può dire che tutte le teorie che riducono l’amore ad una forza unica e totale partecipano in qualche misura della nozione romantica dell’amore come unità e identità. In questo senso si deve riconoscere uno sfondo romantico anche alla dottrina di Freud. 
 - L’amore è la specificazione e sublimazione di quella forza istintiva originaria che è la libido, la quale non è l’impulso sessuale specifico, ma la tendenza alla riproduzione di sensazioni di piacere; e infatti ha uno sviluppo complesso e articolato. Attraverso inibizione e sublimazione di questa forza si sviluppano le forme superiori dell’amore, e con esse A) le emozioni morali (come vergogna, pudore, ecc.) che mirano alla conservazione della specie, ma che sono anche l’origine delle nevrosi; B) le forme superiori della cultura; C) l’intera civiltà.
In questo senso Freud critica l’amore universale, ritenendolo una deviazione dell’amore genitale; deviazione nata dal desiderio di evitare la paura di perder l’oggetto amato (Il disagio della civiltà, p. 69) e ritiene il comando di amare il nostro prossimo come noi stessi la più forte difesa contro l’aggressività umana e l’esempio superlativo dell’atteggiamento anti-psicologico del super-ego culturale. Ma ritiene questo comando, in realtà, impossibile a rispettarsi (ibidem, pp. 139-41). 
 - In Al di là del principio di  piacere (1920) Freud elabora l’ipotesi metapsicologica di due tipi di pulsioni antagonistiche: erotiche o vitali e distruttive o di morte. Il dualismo pulsionale (vita-morte, amore-odio), apparentemente addirittura cosmico, rivela un’unica finalità: infatti, lo stesso principio di piacere, in quanto persegue la riduzione della tensione e la ricostituzione di una unità originaria, appare al servizio del principio di morte. Eros e Thanatos sono dunque entrambi coazioni a ripetere uno stato di unità originaria.
Allora, la vita con-tiene costitutivamente in sé amore e morte, ma non si tratta di un vero e proprio dualismo: i due principi, pur essendo sempre invischiati nell’impasto pulsionale, sono su piani diversi. Il Todestrieb sembra essere più originario, sembra rappresentare lo sfondo di costituzione della stessa dialettica del desiderio (che è poi per Freud la dialettica storica stessa) incarnata dal Lustprinzip, sembra anzi essere la molla decisiva per la costituzione di quest’ultimo. Non a caso il primo è uno Strieb e il secondo un Prinzip. Dunque, la vita contiene la morte ed Eros si fonda in essa: si rivela costitutiva dell’umano (e anzi per Freud dell’essere) la tensione di un dualismo irrisolto (“un ritmo irresoluto”). 


Psicoanalisi infantile e etologia. 
 - M. Klein e J. Rivière (Amore odio e riparazione) riprendono e sviluppano dal punto di vista ontogenetico l’idea della compresenza e azione combinata di due pulsioni opposte. La madre-seno si configura come il perno primario di questo gioco. Secondo la Klein tutta l’elaborazione fantastica deriva da questo gioco pulsionale. 
 - Eibl-Eibesfeldt (Amore e odio. Per una storia naturale dei comportamenti elementari.) e Lorenz partono dall’esistenza di un istinto aggressivo innato (particolarmente forte nell’uomo). Lorenz propone la nozione di “parlamento degli istinti” per sottolineare che la pulsione aggressiva, pur essendo caratteristica e molto spesso dominante, è comunque una pulsione tra le tante.
Secondo Eibl-Eibesfeldt il bene non è puro frutto dell’educazione, le pulsioni aggressive sono naturalmente bilanciate da pulsioni sociali altrettanto innate. Il padre dell’etologia umana contrappone così amore (non riducibile all’amore sessuale) e odio, come opposte elaborazioni di una più generale e primitiva pulsione al contatto e alla protezione. Queste due elaborazioni possono essere individuate come distinte solo nell’uomo. Mentre per Lorenz la primarietà dell’aggressività era netta, tanto che le pulsioni sociali erano ritenute derivate dalla costituzione delle “comunità di difesa”, per Eibl-Eibesfeldt le due pulsioni sono complementari e il modello primario delle pulsioni sociali è il rapporto madre-figlio.
In pratica, per tutti questi pensatori l’amore è una pulsione primaria e innata, costitutivamente bilanciata da pulsioni contrapposte (quando non addirittura derivata da queste). 
 - Psicoanalisi ed etologia hanno posto l’amore e la sua origine in stretta correlazione con tre diversi tipi di impulsi primari:
1) all’unione: il più primitivo (la stessa cura della prole deriverebbe da qui), l’amore è sempre anche un impulso corporeo all’unione, che si trasforma in impulso al contatto (ad es. il bacio);
2) all’inghiottimento: ben distinto dall’impulso alla nutrizione (connesso alla sopravvivenza);
3) sessuale: ben distinto dalla procreazione.
La dimensione fisica, energetica e materiale (e quindi impersonale) di questi impulsi è ben chiara e significativa e colloca l’origine dell’amore nella sfera dell’Es. 



Scheler. 
 - Critica radicalmente (come e più di Freud) l’idea cristiana e/o feuerbachiano-positivista che A) l’amore cresca allargandosi (invece più è ristretto più è intenso) e B) si fondi sull’identità. Le sue analisi costituiscono così, rispetto alla prima critica, il primo composito tentativo di sottrarre la nozione di amore all’ideale romantico dell’assoluta unità. Mentre rispetto alla seconda critica, Scheler ritiene le diverse forme di amore (non riducibili ad unità) fondate sul concetto di simpatia, che implica e, nello stesso tempo, fonda la diversità delle persone (Natura e forma della simpatia-1923).
Scheler afferma perciò che “l’amore vero consiste nel comprendere sufficientemente un’altra individualità modalmente differente dalla mia, nel potermi mettere al suo posto pur mentre la considero altra da me e differente da me e pur mentre affermo, con calore emozionale e senza riserva, la sua propria realtà e il suo proprio modo d’essere” (Simp I IV 3). L’amore dell’umanità allora non può esistere, non è cioè altro che l’amore dell’uomo medio di una certa epoca e dei suoi valori (e quindi si rivela essenzialmente addirittura risentimento) (Simp VI 5). 


Sartre. 
 - Nonostante le analisi di Scheler, l’ideale romantico persiste anche nel ‘900 dietro alla dottrina dell’amore mistico di Bergson (l’amore si realizza come unità fra l’uomo e Dio) e dietro la teoria dell’amore sessuale di Sartre (l’amore è, almeno progettualmente, la realizzazione dell’unità di io e altro). Per Sartre l’amore è fondamentalmente un voler essere amato e la volontà di essere amato è così la volontà di valere per l’altro come l’infinito stesso (Essere e nulla, pp. 436-37). Per questo è necessario che l’altro permanga libertà, ossia pura soggettività e non venga ridotto a cosa (ibidem, p. 455); in questo modo però ci si scontra con l’impossibile reciprocità di questo rapporto (ibidem, p. 444). Lo scacco è inevitabile. E anche l’atteggiamento masochista, cioè l’autoriduzione ad oggetto, è impossibile perché il volere questa condizione già la rende soggettività (ibidem, pp. 346-47). Questo scacco è rappresentato anche dalla dinamica del rapporto sessuale in cui l’impossibilità di possedere l’altro ad un tempo come trascendenza e come corpo sfocia inevitabilmente nel sadismo (ibidem, pp. 463-64 e 469). Per quanto sia un romanticismo consapevole del suo scacco, quello di Sartre è comunque ancora l’ideale romantico del progetto della fusione assoluta fra due infiniti. 





Russel. 
 - Le annotazioni di Bertrand Russel rivelano invece un’impostazione empirica ed esplicitamente antiromantica. In varie sue opere egli analizza il significato dell’amore e le sue implicazioni sociali, morali e politiche (cfr. ad es.: Principi di ricostruzione sociale p. 192; La conquista della felicità p. 42; Matrimonio e morale IX p. 118).



Barthes. 
 - I Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes costituiscono un’opera unica e un riferimento imprescindibile. Con un’opera assai originale anche nella struttura alfabetico-frammentaria, Barthes analizza le figure retoriche, coreografiche, letterarie e umane che costellano e caratterizzano quel discorso singolare che è il discorso amoroso. Discorso che si rivela impossibile (così come è inafferrabile l’Altro, l’oggetto di dedizione amorosa), perché è un discorso di estrema solitudine, trascurato dalle ideologie, “disprezzato, ignorato, deriso” e che bisogna avere il coraggio, finalmente, di sostenere.  
Fromm. 
 - Grande influenza ha avuto anche l’opera L’arte di amare. È possibile l’amore nella civiltà repressiva? di Fromm; in essa l’autore elabora una teoria e pratica dell’amore come via etico-politica alla liberazione. 



Conclusione. 
 - Abbagnano individua nella storia della filosofia due concezioni fondamentali.
1) l’amore è un rapporto che non annulla ma rinforza le realtà individuali tra cui avviene: per cui essenzialmente è reciproco, concreto, umano, finito; è unione ma mai unità e ha molte forme determinate irriducibili. Tra gli autori considerati, troviamo questa concezione in Platone, Aristotele, Tommaso, Cartesio, Leibniz, Scheler, Russell.
2) l’amore è unità assoluta o infinita, è fenomeno cosmico (più che umano) o natura fondamentale del Principio Primo o Realtà Suprema; le vicende umane vengono così ritenute importanti solo in quanto infinitizzate, poiché in quanto umane sono destinate allo scacco. Troviamo questa concezione in Spinoza e nel Romanticismo, in Hegel, Feuerbach, Bergson, Sartre.

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