" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

venerdì 18 marzo 2011

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Il Giardino dei Pensieri - Preprint
Novembre 2002
Nicola D’Antonio Un "regista filosofico": Krzysztof Kieslowski [*]
[Vedi anche: Filosofia e cinema]

1. In generale, e la filmografia indicata da Cabrera lo dimostra, ogni tipo di film può essere interpretato in chiave di concettimmagine. Alcuni registi si prestano però di più, perché esplicitamente si propongono il fine di mettere in relazione il particolare (l’esperienza umana) con l’universale (l’idea come forma del possibile).
Uno di questi è stato senza dubbio il polacco Kieslowski. La particolarità del suo cinema sta nel fatto che intenzionalmente egli si pone lo scopo di rappresentare la concreta esperienza umana in rapporto alla domanda fondamentale, potremmo filosoficamente dire che Kieslowski condivide il rapporto heideggeriano tra ontico ed ontologico, qui ed ora la domanda sul mio essere è la domanda sull’essere coincidono.
Se consideriamo la sua filmografia non possiamo che essere convinti di ciò.
Il Decalogo (10 piccoli film sui comandamenti) trattano il rapporto tra l’uomo e i valori in cui deve credere, mettendo in scena i comandamenti in un condominio della periferia di Varsavia in piena Polonia comunista, facendo intrecciare da un film all’altro storie ed esistenze diverse, ma non perdendo mai di vista lo scopo: agire in relazione a che cosa? Pensiamo, per esemplificare, al Primo ("Io sono il signore dio tuo") e al Quinto ("Non uccidere"), dove le azioni dei protagonisti sono segnate da un destino ineluttabile, di cui essi stessi vagamente hanno sentore.
La "Trilogia dei colori" è ancora più perfetta ed esplicita da questo punto di vista: i tre colori della bandiera francese, ma anche le tre parole d’ordine della rivoluzione (libertà, uguaglianza, fraternità). Tre esperienze diverse e possibili, calate in vissuti contemporanei, conosciuti, verificabili. Personaggi che agiscono condizionati dal contesto, rispetto al quale trovano esperienze diverse, divergenti, del tutto opposte, ma con le quali devono necessariamente confrontarsi. Quindi abbiamo tre rappresentazioni di esperienze umane in situazione distinte in tre film diversi, ma alla fine, inFilm Rosso, l’ultimo della trilogia, scopriamo i sottili legami tra l’uno e l’altro e il senso filosofico generale, segnato dal caso, dall’infortunio, da un intervento casuale.
In tutti i suoi film lo sguardo di Kieslowski è rigoroso, potremmo definirlo cartesiano se questo non contrastasse con la sua posizione "patica" (ma Cartesio è proprio "apatico"?).
Il rigore consiste oltre che nella nettezza della rappresentazione, che paradossalmente contrasta con le situazioni problematiche dei protagonisti, nel fatto che egli rappresenta delle esperienze adeguandosi al loro svolgersi, non ci sono fratture o eventi straordinari, lo straordinario ha la forma del vivere quotidiano, fatto di avvenimenti che si sommano impercettibili fino a scoprire il loro cuore autentico e quindi straordinario. Diversamente da quanto potrebbe sembrare, lo spettatore alla fine è coinvolto emotivamente, si pone le stesse domande dei protagonisti e cerca insieme a loro una possibile risposta. Per questo il suo cinema è patico: mostra una situazione, ci coinvolge, ci spinge a domandare.

2. Che cosa rende la "Trilogia dei colori" efficace a rappresentare e sviluppare il concettimmagine, oltre ha ciò che già è stato detto?
a. La chiara identificazione di ogni singolo film con un problema filosofico (nel senso "patico"): fino a che punto siamo veramente liberi (Film Blu, 1993); come può l’identità coniugarsi con l’uguaglianza (Film Bianco, 1993); che cosa può voler dire donare se stessi agli altri (Film Rosso, 1994)?
b. I personaggi sono strettamente legati a situazioni, anche geografiche, specifiche, sono cioè situazioni riconoscibili, plausibili. In quel contesto un essere umano può veramente muoversi in quel modo e decidere in quel senso.
c. La chiave di rappresentazione è personale-individuale, è il singolo che prende le decisioni, ma vi è sempre un alter ego dialettico che le condiziona; si agisce cioè sempre in situazioni comunicative.
d. L’elemento filosofico universale sta nel fatto che i protagonisti agiscono sempre in relazione a valori più generali, rispetto ai quali decidono una possibilità piuttosto che un’altra. Agiscono autonomamente, ma in realtà avvertono il senso assoluto della loro azione, quindi il margine ristretto della loro scelta autonoma: ci sono sempre gli altri, il destino, il caso, la scelta fortuita.
e. Riferimenti filosofici possibili: Marx (Manoscritti del ’44), Kierkegaard, Schopenhauer, Nietzsche, Heidegger.

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