" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Riflessioni sulla poesia

lunedì 25 luglio 2011

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Vi propongo un altro articolo scritto da un lettore del mio blog!



Riflessioni sulla poesia




La teoria della conoscenza di kant pone una “rivoluzione copernicana”, al centro non è più l’oggetto ma il soggetto. Non si parla più di conoscenza, si parla di un io che conosco, un io (in Kant non ancora individuale) che conosce attraverso i fenomeni (l’apparire, il darsi degli oggetti).

L’oggetto in se, non può essere conosciuto, per fare ciò, dovrebbe il soggetto astrarre da se stesso, cosa del tutto impossibile. Il fenomeno, e solo quello,  quindi, per essere conosciuto deve presentarsi nell’esistenza dell’essere, l’essere non può conoscere potenzialmente, la conoscenza è un atto individuale, ogni conoscenza esteriore all’esistenza non può essere definita tale.






 Nietzsche, nel criticare l’intellettualismo, nel criticare questo riempirsi di nozioni al di fuori della vita e quindi non utili alla vita, adopera, in verità e menzogna, la metafora del colombario dei concetti. Il nostro intelletto è in pratica come un obitorio pieno di conoscenze neutre, in cui l’aspetto fondamentale, ovvero l’intuizione sensibile, è spento. Tali conoscenza cadaveriche permangono però nella nostra mente, sottoforma di concetti e parole, tali cadaveri vengono intesi come vivi, dato che sono “illusioni di cui abbiamo dimenticato l’illusorietà”.
Se il linguaggio logico è quindi costituito da cadaveri, la logica, non può essere quindi uno strumento di conoscenza, o quantomeno, non l’unico.
Martin Heiddeger, nell’enunciare la sua teoria della differenza ontologica “propone” una ripresa della retorica, della poesia, come strumento di conoscenza, per conoscere non abbiamo bisogno del linguaggio apatico, ma di quello affettivo.


Leggiamo il primo verso de “I limoni” di Eugenio Montale


Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
      


In risalto è il movimento, quello dei poeti laureati, dei ragazzi, delle anguille, (inutile sottolineare l’assoluta identità tra questi). Il movimento sembra appunto un carattere distintivo dell’intera poesia, movimento all’interno del tempo, forse movimento più veloce del tempo stesso.


La poesia, dal punto di vista etico, è un ponte immediato tra l’altro e il medesimo, una sorta di identità tra l’eroe epico e il sentimentale lirico, è parola carica del massimo grado di semanticità, non un modo di chiamare una intuizione, ma una intuizione in cerca di un nome. La poesia è puro linguaggio affettivo, è conoscenza, ma del tipo antitetico alla logica.  











Spostando poi l’attenzione sul movimento e sull’identità tra altro e medesimo grazie al cortocircuito esistenziale dell’urlo o del canto, possiamo ulteriormente notare come la poesia può essere conoscenza prescindente dall’io che conosce, il quale trasla da soggetto della conoscenza, a puro tramite. Il toccare della poesia è quindi il toccare la cosa in se, potrebbe essere vista come la conoscenza oggettiva da parte del soggetto che è riuscito ad astrarre da se stesso, e, assieme al tu poetico, osserva l’oggetto da tutti i punti di vista del suo darsi cogliendone la sua essenza, il tutto in maniera non logica (che, abbiamo visto, neutralizza la conoscenza stessa) ma in maniera etico/affettiva.



Ma cos’è la poesia?


Innanzitutto, dal punto di vista pratico, è una branca del poyesis letterario diverso dalla prosa, ove il testo è diviso in versi, ovvero dove ad un certo punto si “va a capo” a prescindere dal rigo tipografico.
Per comunicare un messaggio (non solo nella poesia) si utilizzano dei segni, semplificando possiamo limitarci a parlare del segno come un significante (una forma) e del messaggio come un significato (la materia). Se il linguaggio logico utilizza i significanti come semplici gesti convenzionali al fine di trasmettere un significato,  in poesia la situazione appare quasi inversa, il significante (la densità semantica della parola) assume importanza fondamentale, come se il gesto diventassi più importante del messaggio.










Possiamo quindi dire che la poesia oscilla tra l’urlo è il canto, i limiti estremi dell’esistenza, l’espressione del male, del dolore della disperazione, e quella del bene, del piacere, della gioia.
Jan Mukarovsky intende la poesia come “gesto semantico”, appunto come se il significante fosse un magnete che misura la sua efficacia nella capacità di attrarre a se i significati. Tali significati nella logica e nella linguistica provengono “dall’alto”, il furor divino Platonico, il fuoco che discende dal mondo delle idee verso il mondo del divenire; oppure la Lang Soussurriana, che s’esprime in ogni (imperfetto) atto di parole in poesia invece provengono dalle profondità dell’io, dalla parte umana onirica e notturna.


IL PORTO SEPOLTO.
Mariano il 29 giugno 1916.

Vi arriva il poeta
E poi torna alla luce con i suoi canti
E li disperde

Di questa poesia
Mi resta
Quel nulla
Di inesauribile segreto
.







Oppure, ancor più eloquente, il mito di Orfeo e Euridice, ove al primo viene concessa l’opportunità di riportare in superficie la sua amata, imprigionata nell’Ade, a costo che questi non si volti a guardarla (con gli occhi della logica) durante l’ascesa verso la terra.




La carica logica o retorica della parola dipende quindi da questo grande tiro alla fune tra le pulsioni dell’inconscio umano(quelle che generano il canto e le urla), e le apparentemente fortissime braccia del demiurgo che abita il mondo delle idee.












In superficie troviamo appunto un urlo (o un canto) in cerca di parole, ma in profondità?










Partiamo dal cielo, dalle idee platoniche, se nel mondo dell’essere c’è un unico punto che indica, ad esempio, il triangolo perfetto, nel mondo del divenire, si apre un ventaglio di possibili triangoli imperfetti, magari l’uno migliore rispetto all’altro (m’azzardo a dire “su un ipostasi superiore”), ma comunque imperfetti. Tali triangoli hanno per Aristotele un essenza, mentre per Platone sono semplice copie del mondo del divenire.
















Spostandoci dalla discesa del mondo delle idee alla ascesa dal porto sepolto, troviamo il meccanismo opposto: non c’è un singolo punto, non c’è il triangolo perfetto, troviamo invece un flusso continuo di punti, di materia informe, un magma che troverà la sua forma solo una volta giunto in superficie. Chi intende redimere la sue Euridice non può farlo che in maniera fulmine e furtiva, con la goffaggine della mano che vuole afferrare l’acqua, con strane ed asimmetriche declinazioni… è un trasporto (la parola metafora proviene proprio da Metapherein, ovvero passare attraverso, trasportare per l’appunto), in cui si prendono una serie di idee, e gli si da forma esprimendole in maniera irregolare, urlandole o cantandole contro che le vuole soltanto pronunciare, tali unità, grazie all’oracolo o al poeta, si inseriscono nella realtà, a rendere vive le componenti del logos.










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