" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Appunti per la lettura dell'Encomio di Elena (5)

venerdì 26 agosto 2011

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I paragrafi 8-14 costituiscono il nucleo centrale, il cuore delle argomentazioni più originali di Gorgia in difesa di Elena, che risulta innocente se fece quel che fece perché persuasa dalla parola, dal lògos, gran signore capace di imprese del tutto equiparabili a quelle degli dei. Il criterio operante è ancora quello solito: il più debole non ha la possibilità di resistere al più forte, perciò Elena non sarebbe stata in grado di opporsi alla potenza divina della parola. Soltanto che Elena non è qui vittima nel tradizionale senso religioso dell'essere umano perseguitato da un triste destino o nel senso comune di chi è oggetto della violenza di un suo simile, ma è vittima dell'incorporea, invisibile, evanescente parola. Gorgia non deve ricorrere alle estreme risorse della sua persuasività retorica perché l'uditorio inquadri i termini del dramma vissuto da Elena nei parametri consueti della donna tormentata dagli dei o dalla brutalità di un uomo. Due paragrafi gli sono più che sufficienti. Ma quando si tratta di persuadere la gente che la semplice parola è in grado di spingere Elena all'adulterio che scatenerà una vendetta tremenda, lo vediamo riservarsi ben sette paragrafi.

Per prima cosa vuole fare riferimento alla concreta esperienza del suo pubblico quale spettatore di rappresentazioni teatrali tragiche. Gorgia, a dire il vero, non parla di tragedia, ma di poesia in genere. Tuttavia i commentatori più autorevoli sono concordi nel ritenere che il riferimento gordiano sia alla poesia tragica proprio per la qualità degli effetti che suscita in chi l'ascolta, effetti che Aristotele riprende nella Poetica quando definisce appunto la tragedia. Per Gorgia dunque la tragedia provoca negli spettatori un brivido di paura, un destino di dolore, un patimento che deriva dalla loro totale immedesimazione nei patimenti dei personaggi tragici.
Nelle parole di Gorgia ci sono già gli elementi che si ritrovano nella celeberrima definizione di tragedia data da Aristotele nella sopra citata Poetica: "La tragedia è un'imitazione di un'azione seria e completa e che ha una certa dimensione, che è espressa in un linguaggio piacevole, in maniera distinta per ciascuna delle forme usata nelle varie parti, eseguita da persone che agiscono direttamente sulla scena e non mediante un racconto; mediante la pietà e la paura questa mimesi produce la purificazione di siffatte passioni".
Gorgia è affascinato dallo spettacolo teatrale, dalla capacità del linguaggio tragico di suscitare pietà e paura, di eccitare queste passioni nel pubblico totalmente assorbito dal vortice della parola poetica, di provocare nell'animo degli spettatori una specie si esaltazione.

Proprio nel discorso che potrebbe essere apparentemente interpretato come un momento importante del passaggio dall'irrazionalità del mito alla razionalità del lògos, Gorgia esalta la capacità della parola tragica di suscitare pura emozionalità, assoluta irrazionalità, parossistica esaltazione e esasperazione passionale. Quali ragioni ci sono per pensare che Elena non potesse subire il fascino della parola?
Gorgia accentua l'aspetto psicagogico, cioè di seduzione delle anime, che la parola possiede come sua inquietante potenzialità, sostiene che la persuasione creata dalla parola assicura sugli interlocutori un dominio non violento, non tirannico, m forte come qualsiasi costrizione materiale, esalta il valore assoluto dell'emozione e dell'illusione suscitate dalla parola secondo lo stesso principio in base al quale definisce in altro luogo la tragedia come "un inganno, in cui chi inganna è più giusto di chi non inganna, e chi i lascia ingannare è più sapiente di chi non si lascia ingannare".



Fonte: L'Encomio di Elena Gribaudo Editore 








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