" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Platone: dai dialoghi socratici alla teoria delle idee

martedì 9 agosto 2011

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I primi dialoghi di Platone hanno argomenti prevalentemente di etica, ruotando intorno al tema della virtù: l'Eutidemo ha per oggetto la pietà, il Liside l'amicizia, il Carmide la saggezza, il Lachete il coraggio, l'Ippia minore la veracità. Ma nessuno di essi arriva a una conclusione netta; donde la definizione di "aporetici", comunemente usata per questi dialoghi. A una prima conclusione sul tema della virtù in generale giunge invece il Protagora: tutte le virtù si riducono a una sola, la sapienza (sophia), e perciò la virtù è suscettibile di insegnamento. Ne risulta un profondo intellettualismo: l'equazione virtù= sapienza implica che chi conosce il bene non può che seguirlo e che nessuno agisce male volontariamente, bensì solo per ignoranza.
Il tema dell'identità della virtù nelle sue varie forme è sviluppato nel Menone: "Anche se sono di molti tipi, in tutte le virtù ha da esservi una sola forma, per cui sono virtù". Quindi, per rispondere alla domanda che cos'è la virtù, occorre fissare gli occhi su una tale "forma" o "idea" (eidos). E' questa la nozione che d'ora in poi sarà al centro di tutta la riflessione di Platone e che ne segna la novità maggiore rispetto al socratismo.









Subito, nell'Eutifrone, la ricerca è rivolta a determinare "che cos'è in sé stessa quella tale idea del santo per cui tutte le azioni sante sono sante", onde usarla come modello per giudicare ciò che è santo e ciò che non lo è. Contemporaneamente Platone procede a criticare le dottrine avversarie, cominciando dai sofisti.
Nel Gorgia è esaminata l'arte retorica, che si propone la mera persuasione degli ascoltatori: un "credere non accompagnato dal sapere", dice Platone, perciò neppure una téchne, ma solo un'empeirìa, poiché non fondata sulla comprensione razionale della natura delle cose.
Il Menone, dedicato alla critica dell'eristica, formula per la prima volta la teoria della reminiscenza, che rimarrà centrale nella gnoseologia di Platone. Attraverso domande opportune, Socrate riesce a far sì che uno schiavo, del tutto ignorante di geometria, pervenga da sé alla dimostrazione del teorema di Pitagora. Ciò è possibile, conclude Platone, perché l'anima dell'uomo ha acquisito la conoscenza della verità in una vita precedente e può quindi ricordarla (anamnesi). Per questa teoria Platone ricorre al mito orfico dell'immortalità dell'anima e della reincarnazione. Ma procede anche, nel Fedone, a una dimostrazione razionale dell'immortalità dell'anima, fondata sulla dottrina delle idee. Le idee sono in realtà invisibili, stabili, sempre identiche a sé stesse; e l'anima è capace di coglierle solo in quanto è simile "al divino e all'immortale".
Il rapporto fra l'anima e le idee non è esaurito però dalla conoscenza intellettuale, ma investe tutt'intera la vita dell'uomo. Lo mostra il Simposio, dedicato al tema dell'amore (éros). L'amore è presentato, secondo il mito, come un demone, figlio di pòros (risorsa) e penìa (povertà), partecipe quindi della bellezza di ambedue: non ha la bellezza, ma la desidera, non ha la sapienza, ma aspira a possederla. Diversi sono i gradi di bellezza: dei corpi, dell'anima, delle leggi, delle scienze; e infine viene l'idea della bellezza, che costituisce il termine ultimo dell'ascesa dell'éros: "Bellezza eterna, che non nasce e non muore, non s'accresce né diminuisce".
Elevandosi fino all'idea, l'éros consente quindi il passaggio dall'ignoranza alla scienza.
Un tema analogo tornerà nel Fedro, dedicato all'analisi della natura dell'anima.

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