" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Post! Umano?

mercoledì 31 agosto 2011

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Oggi vi propongo un articolo scritto dal lettore Fabio Cirillo. Vi invito a leggerlo e a riflettere su quanto scritto.
Buona lettura!



Due dei punti che hanno caratterizzato la code dell’età moderna, e che naturalmente persistono ancora oggi, in era post-moderna, sono, il forte sviluppo scientifico e l’alienazione dell’uomo da se stesso, entrambi aventi principio nel XVII secolo (nel primo caso la rivoluzione scientifica e il metodo sperimentale , nel secondo la rivoluzione industriale e l’individualizzazione umana seguita dalla crisi del pensiero del XX secolo).

L’uomo post-moderno è alienato, estraneo a dio, alla natura, a se stesso. Eppure, se da un lato l’essere, in quando individuo e soggetto, vive in perenne ed escatologica crisi, dall’altro,paradossalmente, lo stesso essere, inteso stavolta come genere umano, progredisce. 









Un progresso  scientifico inarrestabile, che ha portato, negli ultimi anni all’idea di IA (intelligenza artificiale). L’idea di macchine, perfette al punto tale da sostituire in tutto e per tutto l’uomo. 


Parliamo di fantascienza o di filosofia? Le macchine pensanti sono realtà? Per scogliere questo dubbio dobbiamo dapprima chiederci cosa vuol dire pensare.


Kant faceva una distinzione tra pensiero e ragione, la ragione “produce” i concetti, il pensiero le idee. Le idee non hanno rilevanza da punto di vista teoretico, non possiamo conoscerle, alle idee possiamo solo pensare… per Kant è impossibile dare una spiegazione a Dio, è impossibile dare una spiegazione dell’anima, famoso a tal proposito è l’explicit della critica della ragion pratica. 


Il nostro pc potrebbe pensare a dio, potrebbe innamorarsi? La domanda è meno ridicola di quanto sembri! 



Comte sosteneva che ogni conoscenza attraversasse tre stadi (teologico, metafisico e positivo) proviamo un attimo a ragionare su come accada il pensiero, dimenticandoci della teologia (il pensiero che deriva dall’onnipotenza di dio) e della metafisica (il pensiero che discende dal mondo delle idee come una fiamma, e che poi tenta di ritornarvi), Sarebbe concepibile  vedere il pensiero come una attività fisico-meccanica della mente. Il nostro modo di percepire e di elaborare le informazioni percepite è poi così diverso dal modo delle macchine?




Margaret Boden








Margaret Boden in un suo trattato del 1979 parlava di modello di computazione della mente, i presupposti di tale teoria sono:  - l’essenza dei fenomeni mentali consiste nella capacità di percepire informazione dall’ambiente esterno e rielaborarle secondo propri algoritmi, e, in base a questi, fornire risposte all’ambiente esterno, tali risposte sono a loro volta fonte di conoscenza. – l’elaborazione di informazioni possa essere espressa in forma computazionale, in base, appunto ad calcoli esprimibili in formule matematiche.

A questo punto, una volta individuate tali formule matematiche, la mente umana, e la mente delle macchine, l’IA, non sembrerebbe più equivoco… 




Douglas Hofstadter




Douglas Hofstadter fa una distinzione tra scariche neuroniche e simboli: le prime consistono in reti di neuroni attivabili tramite segnali elettrochimici , i simboli sono tali scariche viste in rapporto con la realtà.
Proprio questo rapporto con la “relatà” è un punto cruciale per determinare la capacità del pensiero di una macchina, o quantomeno la sua capacità di univocità con la mente umana.




Alan Turing





Alan Turing individuò un test per sperimentare la capacità di pensare delle macchine: se una IA e un essere umano comunicano senza che quest’ultimo sospetti che il proprio interlocutore sia artificiale, allora si può dire che la macchina sia capace di pensare. 


John Searle critica tale test attraverso l’esempio della “stanza cinese”: “si consideri una lingua che l’individuo in questione non conosce. Io, per esempio, non conosco il cinese: ai miei occhi la scrittura cinese si presenta come una serie di scarabocchi senza significato. Supponiamo che io mi trovi in una stanza contenente scatole piene di ideogrammi cinesi e supponiamo che mi venga fornito un manuale di regole (scritto nella mia lingua) in base al quale associare ideogrammi cinesi ad altri ideogrammi cinesi. Le regole specificano senza ambiguità gli ideogrammi in base alla loro forma e non richiedono che io li capisca. Supponiamo che fuori della stanza vi siano delle persone che capiscano il cinese e che introducano gruppetti di ideogrammi e che, in risposta, io manipoli questi ideogrammi secondo le regole del manuale e restituisca loro altri gruppetti di ideogrammi. Ora il manuale delle regole è il “programma di calcolatore”, le persone che l’hanno scritto sono i “programmatori” e io sono il “calcolatore”. Le scatole piene di ideogrammi sono la “base di dati”, i gruppetti di ideogrammi che mi vengono forniti sono le “domande” e quelli che io restituisco sono le “risposte”. […] io supero il test di Turing per la comprensione del cinese, eppure ignoro completamente questa lingua. […] i calcolatori digitali si limitano a manipolare simboli formali secondo le regole contenute nel programma.” 
Le macchine quindi manipolano simboli formali, a prescindere dal loro rapporto con la realtà.



Ovviamente, come molta filosofia contemporanea mostra, anche l’uomo manipola segni linguistici differenti dalla realtà (già sostenere che una realtà esista suona obsoleto), c’è una differenza tra le parole e le cose, eppure i segni, sebbene convenzionali, non sono arbitrari, c’è una corrispondenza tra significante e significato, per la macchina invece sono comunque solo significati, mai significanti. 

Anche l’asse del significante potrebbe rientrare in un modello di computazione?


Domanda questa fondamentale, si tratta in pratica di stabilire se può ogni aspetto dell’essere, della mente umana, possa rientrare in uno schema matematico, in quest’ambito sono due le correnti che si contrappongono, quella dualista-interazionista e quella monista-materialista,  potremo dire ad esempio “l’uomo pensa e le macchine no, perché l’uomo possiede volontà!” Ma a tale proposizione si potrebbe obbiettare “la volontà stessa non è anch’egli il frutto di una attività fisico meccanica sintetizzabile in laboratorio?!”. Non è questo l’ambito in cui scogliere questo dilemma.

Dal punto di vista della conoscenza, comunque, bisogna ammettere che il modo di percepire, il modo di elaborare una percezione e il modo di rispondere a questa, non sono nettamente differenti, le macchine possono pensare! C’è un limite però, l’intellegibilità della mente umana non si basa su segnali già predecodificati, l’IA invece si. Se in pratica io percepisco un oggetto che non conosco questo non rimarrà tale, qualora lo percepisca una macchina, l’oggetto sarà non riconosciuto dal sistema (perché questi non era conosciuto al momento della programmazione,ad esempio) e rimarrà eternamente sconosciuto. L’intelligenza artificiale, a differenza di quella umana, potremo dire che non scopre nuove cose. Se domani tutti gli uomini perissero e rimarrebbero soltanto macchine, la conoscenza si fermerebbe al punto in cui l’ultimo uomo, prima di perire, ha decodificato l’ultimo segnale che ha scoperto. 
Ciò può essere imputato a due ragioni: la prima, immanente, consiste nel fatto che il meccanismo che permette all’uomo di codificare un fenomeno non è stato ancora immesso nella IA (torniamo al circolo viziosodi cui sopra). La seconda, esistenziale-trascendentale, consiste nel fatto che le macchine non hanno esistenza, non esprimono la loro essenza nella vita, nel Da-sein (esser-ci). 


Esser-ci, termine coniato di Heidegger, per indicarne la differenza ontologica tra la vita (l’esistenza) e l’ente. Il –ci, ovvero essere qui ed essere ora, l’esistere, è possibilità: in che tempo possiamo dire viva l’uomo? Il passato non è più, il futuro non è ancora, (e fin qui siamo nello scontato), ma fino a che punto possiamo dire che il presente è? il presente è nell’istante, e l’istante non appena viene percepito diviene passato, quindi, sebbene il presente è, l’uomo non vive in esso. La mia volontà non si esprime in quest’istante, bensì nel momento in cui ho progettato cosa fare in quest’istante, per usare termini aristotelici, la volontà si esprime al momento della potenza, non in quello dell’atto. 


Si immagini ora una partita a scacchi tra me ed un computer:

Helbert Simon, propone una distinzione tra scelta ottima e scelta soddisfacente, la prima è la miglior scelta possibile, la seconda ne è una che pur non essendo la migliore comunque permette di ottenere il risultato voluto, tra un'unica scelta ottima, un basso numero di scelte soddisfacenti, ed un numero pressocchè infinito di scelte inutili o dannose, la mia volontà ne compirà una (le procedure di scarto delle mosse inutili da quelle utili prendono il nome di procedure euristiche). Io  muoverò un pezzo sulla scacchiera. 
Che differenza c’è tra la mia mossa e quella del computer?


Io dispongo di informazioni incomplete, imprecise o inaffidabili, e di una capacità di calcolo limitata. Il computer, avendo in se codificato integralmente le regole e le possibilità degli scacchi, dispone al contrario di informazioni complete, precise, affidabili e di una capacità di calcolo perfetta. 
La mia mossa si può quindi definire un atto di volontà perché prevede una scelta tra tante opzioni che io conosco limitatamente. La mossa del PC non può definirsi un atto di volontà, dato che questi conosce la scelta ottima.

Proviamo ora a smettere di figurarci la scacchiera e immaginiamo il mondo. La macchina continuerà a giocare a scacchi e a fare le cose per cui è stata programmata. L’uomo, disponendo di volontà, potrà andare, sebbene con informazioni incomplete e imprecise, oltre. 

La volontà è una “conditio sine qua non” per la conoscenza. Per quanto riguarda l‘esistenza, all’uomo non è possibile attuare procedure euristiche: nel mondo, la possibilità delle scelta appare all’uomo infinita, non esiste una scelta ottima, dato che questa una volta attualizzata, questa diviene soltanto soddisfacente, a favore di una altra scelta ottima che prima non rientrava nella prospettiva. Un limite assoluto non esiste. L’esistenza è come un pianoforte dai tasti infiniti, l’uomo cerca sempre di toccare il si più acuto, allunga il dito per pigiare il tasto, chiude gli occhi per godersi l’ascolto della nota, ma quando li riapre si accorge di altre miriadi di ottave, ancor più alte, che prima non poteva nemmeno immaginare. 


La volontà è condizione primaria della conoscenza e dell’esistenza, è la volontà a creare un ponte tra l’individuò e la realtà. Se io conosco, Se io esisto, è grazie alla volontà, è la volontà di conoscere che mi rende conoscente, è la volontà di esistere che mi rende esistente, ad oggi non possiamo sapere se le tecnologie dell’IA un giorno riusciranno a sintetizzarla.  




                                                                        Fabio Cirillo

                                         

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