" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

De Divinatione

giovedì 29 settembre 2011

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Il De divinatione è un'opera filosofica di Cicerone redatta in due libri e risalente ai primi mesi del 44 a.C., periodo in cui l'ultima dittatura di Cesare comportò l'allontanamento dell'autore dall'attività politica.

Scena di Cleromanzia: da una kylix attica a figure rosse del "Pittore di Duride", 490 a.C.


Nel Libro I Marco immagina di trovarsi nella propria villa di Tuscolo in compagnia del fratello Quinto Tullio Cicerone il quale apre per primo la trattazione, esponendo il proprio punto di vista in favore della divinazione e in linea con lo Stoicismo. Secondo tale corrente filosofica infatti la possibilità di prevedere il futuro avrebbe un fondamento reale e la prova più evidente può trovarsi nell’accordo che tutte le popolazioni dimostrano di avere da sempre su questo punto (consensus omnium). Quinto passa poi ad illustrare le due grandi categorie in cui risultano suddivisibili i metodi divinatori: da un lato la divinazione artificiale, derivante dall’osservazione dei prodigi e dalla corretta interpretazione degli stessi grazie a procedure rigorosamente standardizzate; dall’altro la divinazione naturale, determinata dall’ispirazione immediata o da una visione diretta che l’animo – momentaneamente libero dai suoi vincoli corporei – avverte inconsciamente, come avviene per esempio durante i sogni. Sulla veridicità di tali assunti Quinto fa appello all’esperienza di Cicerone stesso quando, sui Monti Albani o in Campidoglio, poté assistere a prodigi che gli preannunciarono la congiura di Catilina.

Riproduzione grafica del "Fegato di Piacenza", II-I a.C.


Nel Libro II Cicerone passa in rassegna tutti gli argomenti e gli esempi addotti dal fratello, confutandoli uno dopo l'altro e dimostrando in tal modo la sua refrattarietà a prestar fede all’arte divinatoria. In accordo con i principi filosofici dello Scetticismo egli attacca ogni aspetto riguardante gli oracoli, l'astrologia e l'aruspicina, contestandone la serietà, la scientificità e affermando che la religione acquisterebbe maggior credito se fosse depurata da credenze false e superstiziose. Nonostante ciò Cicerone non arriva a respingere integralmente la divinazione ma ne giustifica la pratica in quanto istituzione “politica”, necessaria al mantenimento degli equilibri interni dello Stato e alla salvaguardia delle tradizioni.

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