" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

La natura

domenica 2 ottobre 2011

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Poema epico - didascalico in esametri, composto nella prima metà degli anni Cinquanta, forse incompiuto per la morte prematura dell'autore e pubblicato postumo da Cicerone, La natura è un'esposizione in forma poetica del pensiero di Epicuro inteso come messaggio di salvezza. L'opera si inserisce in una duplice tradizione: quella dei trattati filosofici greci, cui si richiama anche nel titolo che traduce il greco Perì physeos del trattato in prosa di Epicuro, sua principale fonte, e del poema in esametri di Empedocle di Agrigento, suo modello poetico, e quella dell'epica latina in esametri di Ennio, cui si rifà per lingua e stile.
Dato il fine protrettico-didascalico, la struttura del poema è ben delineata, anche se non sistematica: ogni tema è trattato in due libri, ciascuno dotato di una propria autonomia contenutistica; ogni libro ha un proemio, e a partire dal terzo anche un ampio finale pertinente all'argomento.
Dopo l'inno a Venere, in cui è inserita la dedica a Memmio, il primo libro si apre con un elogio di Epicuro. Segue l'episodio  del sacrificio di Ifigenia; sono poi esposti i fondamenti della fisica epicurea. In conclusione Lucrezio passa in rassegna, criticandole, le dottrine degli altri naturalisti. 
Il proemio del secondo libro è una celebrazione dell'imperturbabilità del saggio. La trattazione verte sul moto degli atomi e sulle loro combinazioni: essi si muovono precipitando nel vuoto e, novità introdotta da Lucrezio, si incontrano aggregandosi in virtù del clinàmen, minima declinazione rispetto al moto di caduta verticale responsabile del libero arbitrio umano e della formazione degli oggetti.

Nella parte finale Lucrezio sostiene che nulla va distrutto perché rinascono sempre nuove combinazioni di atomi e dimostra che sono già evidenti i segni del declino del nostro mondo. Dopo un inno ad Epicuro, il terzo libro è dedicato all'anima umana: essa è formata dall'animus, sede delle facoltà razionali, e dall'anima, principio vitale, entrambi composti di atomi sottilissimi, soggetti a disgregazione con il corpo al momento della morte.
Per questo il finale dimostra che la morte, in quanto venir meno di ogni sensazione, non è un male. Tipicamente epicurea è la negazione che esistano punizioni ultraterrene. Centrale nel quarto libro è la teoria dei simulacra, sottilissime aggregazioni di atomi che, staccandosi dai corpi, colpiscono i sensi dando origine alle sensazioni: ne deriva che l'errore può nascere solo dalle nostre inferenze.
Nella parte conclusiva del libro trova posto un'aspra polemica contro la passione amorosa, elemento perturbatore che allontana dall'ideale della voluptas epicurea. Dopo un altro elogio di Epicuro, il quinto libro affronta la formazione dell'universo, mortale come gli elementi di cui è composto e non voluto dagli dei, che vivono negli intermedia e non si curano delle vicende umane.
Segue una potente sintesi della storia dell'umanità.
Il sesto libro, dopo un elogio di Atene e di EPicuro, spiega scientificamente quei fenomeni meteorologici e terrestri che gli uomini sono soliti ricondurre agli dei.
L'ultima sezione è dedicata alle epidemie: il finale è una cupa rappresentazione della peste di Atene del 430 a.C., per la quale Lucrezio si rifà all'analogo racconto dello storico greco Tucidide.

Il De rerum natura, ancora largamente circolante nella cultura tardolatina come dimostrano le critiche a esso rivolte dai cristiani, viene riscoperto nel 1418 dall'umanista Poggio Bracciolini che ne ritrova in Alsazia un manoscritto e lo invia a Firenze perché venga copiato.
La prima edizione a stampa risale nel 1473, a Brescia; da allora è notevole l'impegno filologico e speculativo per il recupero del testo e la sua diffusione; nel Cinquecento compaiono le prime confutazioni delle tesi lucreziane, mentre nel Seicento Gassendi tenta di conciliare le teorie epicuree con la credenza in un Dio creatore e Moliére, nel Misantropo, ne traduce il passo tratto dal libro IV sui difetti delle donne; indubbia è poi l'influenza lucreziana nell'opera del Leopardi.
Infine nel 1850 K.Lachmann cura una fondamentale edizione cristiana del poema.


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