Avete ucciso delle
persone nel campo? - si - le avete avvelenate col gas? - si - le
avete bruciate vive? - si qualche volta è successo. - le vittime
venivano prelevate da ogni parte d’Europa? - penso di si - lei
personalmente ha preso parte alle uccisioni? - assolutamente no, nel
campo ero solo ufficiale pagatore - che cosa pensava di quello che
accadeva? - all’inizio era spiacevole, ma poi ci siamo abituati -
sa che i russi la impiccheranno? - (scoppia in lacrime) perché
dovrebbero? Cosa ho fatto? (12 novembre 1944)
Sono queste le parole dette da un
prigioniero di guerra tedesco (ex “impiegato” presso un campo di
sterminio) ad un corrispondente americano. Vale effettivamente la
pena chiederci, fino a che punto, questi, sia colpevole delle persone
morte nei campi cui nell’intervista si faceva riferimento.
Karl Jaspers, amplia la prospettiva:
nel 1946, tiene nell’università di Heidelberg una serie di lezioni
(che saranno poi pubblicate col titolo “La questione della colpa”).
Quanto un cittadino tedesco può ritenersi assolto (o colpevole), Che
responsabilità ha nei confronti dell’olocausto?
Il filosofo inizia distinguendo quattro
tipi di colpa:
- Colpa giuridica: individuale, che riguarda gli atti commessi dal singolo soggetto, giudicati dal tribunale come criminali o meno.
- Colpa politica: collettiva, inerente al cittadino in quanto tale, in quanto ente in società, giudicata da “la forza di volontà, del vincitore nella politica”.
- Colpa morale: individuale, riguardante ancora una volta le azioni svolte dalla singolo, a giudicare è la coscienza morale dello stesso.
- Colpa metafisica: ancora collettiva, riguardante il genere umano, e la solidarietà che ci accomuna, a giudicare è il proprio senso “trascendentale”, quando, di fronte al male, non si è fatto tutto il possibile per impedirlo
Alla luce di questa partizione Jaspers
indicherà che dinnanzi ad un numero esiguo di colpevoli giuridici
(che comunque hanno diritto ad un processo), l’intero popolo
tedesco è colpevole: politicamente (dato che ogni uomo è
responsabile in parte della propria classe governante [non
dimentichiamo che Hitler prese il potere per libera elezione]) ;
moralmente; metafisicamente (il male di Auschwitz- dice il filosofo-
ha toccato le radici dell’essere umano nel senso ontologico del
termine).
Proponiamo ora un ulteriore
distinzione, tra colpe pratiche (giuridica e politica) e colpe
“teoretiche” (morale e metafisica). Ed analizziamo il problema
della responsabilità:
Il termine deriva da responso
(=risposta), di cosa io debbo rispondere in una società civile?
Delle mie azioni, Degli atti della mia volontà. Se io venissi
stordito, nelle mie mani inanimate venisse posta una pistola carica,
e chi mi avesse tramortito farebbe in modo che le mie dita premessero
il grilletto uccidendo un uomo, io della morte di quell’uomo non ne
sono responsabile! Tutt’al più se l’istanza giudicatrice sono i
vincitori della storia, una categoria, mai assoluta, e continuamente
mutevole nel tempo!
Col moderno sistema politico il
cittadino è come per l’appunto stordito, praticamente incapace di
esprimersi nella vita politica, (l’atto del voto non è uno
strumento adeguato alla affermazione della volontà!), se quindi il
governo di una nazione spetta solo teoricamente al cittadino, questi
non è responsabile delle azioni messe in atto dal “proprio”
governo.
Fino a che punto è responsabile delle
proprie azioni il soggetto? Fino a che punto possiamo parlare di
colpa giuridica? la base del discorso è sempre nella volontà, se
io, nel pieno delle mie facoltà mentali, uccido un uomo, questo è
sicuramente un atto di volontà, ne devo quindi necessariamente
rispondere?! In primis chiediamoci a chi un omicida debba rispondere,
ovviamente ad un tribunale, ed un tribunale non è pur sempre
istituito dai vincitori della storia?! (Si potrebbe obiettare che
l’uomo ha una coscienza morale insita [per questo rimando ai
paragrafi successivi]). Ma soprattutto, l’essere qui ed ora non è
un atto di volontà, l’uomo è gettato al mondo ed è gettato con
l’altro, il fatto che io debba rispondere all’altro (od a un
insieme di altri, ovvero lo stato che istituisce il tribunale) della
mia volontà, è un qualcosa di contingente. ragionando teoricamente,
l’unico strumento che possa garantire la coercizione dell’altro
sul medesimo, e viceversa, è la forza fisica o quella vitale (la
legge del più forte). Il riconoscere all’istituzione la facoltà
di giudicare i propri atti non è a sua volta un atto di volontà,
quindi io non sono necessariamente responsabile delle mie azioni, per
quanto criminali possano essere.
Per quanto riguarda la colpa morale,
abbiamo detto che a giudicare le azioni è la propria coscienza
individuale, “la mia coscienza mi riserverà senz’altro un
trattamento amichevole. Non è poi tanto male, basta tirarvi un
fregio, e si incomincia una nuova vita” dice Jasper indicando ciò
come un errore. Tuttavia, se ancora Kant parlava di un tribunale
della ragion pratica comune ad ogni essere dotato di ragione,
sappiamo oggi che la coscienza morale è appunto un qualcosa di
individuale, ed è a mio avviso strettamente legata alla metafisica
(tema del quale lo stesso Kant pone dei forti limiti di conoscenza).
La colpa metafisica risiederebbe
infatti nell’idea che l’olocausto abbia contravvenuto alle radici
ontologiche umane. L’essere per sua natura non ha conoscenza
dell’assoluto (altrimenti non sarebbe uomo), la metafisica quindi,
sebbene sia un campo collettivo, è percepibile dall’uomo solo
individualmente, ognuno crede in qualcosa di irrimediabilmente
diverso da ciò in cui crede l’altro, e non c’è alcun modo di
sapere chi ha ragione è chi ha torto. Supponiamo una teologia che
indichi la trascendenza nella esclusività della razza ariana, se
tale indirizzo metafisico, fosse, per assurdo, vero, l’aver ucciso
un ebreo non sarebbe una colpa bensì un merito! Ragionamenti assurdi
a parte, ribadiamo che l’uomo non può conoscere l’assoluto,
quindi una colpa metafisica collettiva non può esistere, potrebbe
esistere quella metafisica individuale (che sarebbe la colpa morale
di cui abbiamo già visto), ove, in nome del dio in cui credo, devo
amare il prossimo come me stesso, ma non posso io imporre all’altro
questa mia visone della trascendenza e della metafisica.
Fabio Cirillo
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