" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

TRA L’ONTOLOGIA E LA LOGICA, TRA IL DIRE E IL TACERE

martedì 31 gennaio 2012

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Oggi vi propongo un articolo scritto dal lettore Fabio Cirillo. Vi invito a leggerlo e a riflettere su quanto scritto.
Buona lettura!




“Tutto il senso del libro si potrebbe riassumere nelle parole: Quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”

Così afferma Ludwig Wittgenstein nella prefazione del suo Tractatus logico-philosophicus.

Cosa è possibile affermare, come bisogna farlo? Sono queste le domande poste in essere dalla filosofia logica!
La logica classica poteva risolversi “facilmente” , attraverso la non-contraddizione e il terzo escluso, la verofunzionalità, ovvero, se una affermazione è dimostrabile falsa, sarà vero il suo contrario, si io dimostro falsa l’affermazione “ho fame” sarà vera quella che dice “non ho fame”. Per fare un altro esempio: se io dimostro, (anche attraverso la riduzione per assurdo), che l’oggetto della mia ricerca non è caldo, automaticamente posso affermare che è freddo (terzo escluso: escludo quindi il concetto di tepido), e soprattutto non posso affermare che l’oggetto sia caldo e freddo contemporaneamente (non contraddizione) .
Se il terzo escluso può sembrare intuitivamente attaccabile, la non-contraddizione sembra intoccabile, un qualcosa come può essere A e –A contemporaneamente, come posso, razionalmente, essere e non essere allo stesso tempo?
Se affermo “io sto mentendo”, sto dicendo una bugia o una verità?
Se io sto mentendo, allora ciò che dico è vero, e quindi non sto mentendo;se io non sto mentendo, allora quel che dico è vero, quindi sto mentendo. in ogni caso io sto mentendo e non mentendo contemporaneamente.
Attraverso questo paradosso di Bertrand Russell, mostriamo come anche il principio di non-contraddizione non sia sempre valido. Si afferma ben presto che l’autoevidenza degli a priori non è condizione sufficiente a porli alla base del ragionamento, gli a priori non empirici sono autoreferenziali e danno vita ad antinomie. Crolla la logica classica, su cosa ricostruirla?
Innanzitutto abbattere il ragionamento che parte dagli a priori autoapparenti, questi sono tali solo in un sistema dato e percepito in maniera autoreferenziale.






Iniziamo a ragionare sugli oggetti.


Alexius Meinong ne distingue tre tipi:
  • Esistenti (che sono nel tempo e nello spazio)
  • Sussistenti (oltre il tempo e lo spazio, i numeri ad esempio)
  • Inesistenti (divisi a loro volta in possibili, ad esempio la montagna d’oro [metafora usata spesso nei giochi a premi]; e impossibili, ad esempio il cerchio quadrato)
Ma in base a cosa, io affermo che un oggetto sia esistente piuttosto che sussistente o inesistente? Abbiamo detto che gli oggetti esistenti sono nello spazio e nel tempo, quindi basterebbe la percezione sensoriale, ma il darsi dello spazio e del tempo, sono comunque un elaborato dell’io pensante soggettivo, non possono definirsi oggettivi, quindi non vi è alcuna categoricità assoluta nell' affermare l’esistenza di un oggetto!
Lo stesso Meinong affermò che gli oggetti sono liberi della propria esistenza, possiamo quindi, nel discorso, parlarne “come se” esistessero.
Del resto non possiamo fare altrimenti, dato che nulla ci garantisce l’esistenza di un oggetto, il suo essere all’interno dello spazio e del tempo: la penna che ho in mano, i numeri, il cavallo alato e il cerchio triangolare hanno la stessa esistenza!

Come trattare questi oggetti?

Georg Cantor, prima degli altri, si propose di fondare l’intera matematica sull’insiemistica, un insieme è una “riunione M in un tutto di oggetti m (elementi di M) della nostra intuizione o del nostro pensiero”. Successivamente Gottlob Frege distingue l’intenzionalità e l’estensionalità dell’insieme, la prima definisce tutti i contenuti che cadono nell’insieme M, la seconda il modo di dare l’insieme.
Il discorso, per essere logico, deve essere corretto e completo, ove per correttezza intendiamo:
aa (=derivazione sintattica)
e per completezza:

aa (= conseguenza semantica)
l’affermazione teleologica è quindi solo possibile in un insieme completo, ovvero, in un insieme dove:
aa aa aa aa

Un altro concetto logico fondamentale è quello introdotto da Alonzo Church negli anni ’30, ovvero la decidibilità: la facoltà di stabilire apriori la validità di una formula. Una teoria (insieme di formule chiuse sotto conseguenza logica) è decidibile se c'è un metodo efficace per determinare se le formule arbitrarie sono inclusi nella teoria.
Per fare un esempio banale: se io ho davanti a me tre banconote, da 10 da 20 e da 50 euro, e so che debbo prendere quella dal valore più alto, io posso sicuramente stabilire apriori quali valga di più e quale meno, e quindi “decidere” quale prendere. Supponiamo invece che io abbia davanti una banconota da 5 euro, una da 50, e una terza, che però è coperta in maniera tale che io non possa vederla, nonostante io sappia che devo prendere quella dal valore più alto, non posso stabilire quale delle tre sia, e, apriori, non posso decidere quale prenderla, dovrò necessariamente scoprire la terza, quindi decidere a posteriori!

Il concetto di decidibilità è strettamente connesso a quello della completezza, enunciato nel 1930 da Kurt Gödel, il quale però, l’anno successivo affermo l’icompletezza di tutti i grandi sistemi.
A proposito della completezza e della decidibilità, riporto qui un esempio (tanto caro al mio professore) per spiegarmi meglio: prima di recarmi al mercato per fare la spesa io stilo una lista con tutto ciò di cui ho bisogno conoscendo i prezzi , conosco anche la cifra esatta da spendere. Se al mercato io mi limiterò a comprare solo gli oggetti presenti nella lista allora la lista della spesa è un insieme completo (e, a patto che io sappia i prezzi, decidibile), ma supponiamo che io al mercato la ampli, sarebbe allora impossibile, prima di scendere da casa, stabilire quanto io debba spendere!
A questo punto, quali sono gli insiemi completi su cui si può dire a priori? Non ne esistono, ogni insieme è incompleto, completarlo è un atto di volontà, non di conoscenza, ogni volta che si rende un insieme completo lo si circoscrive, è tale circoscrizione non è mai naturale ma sempre artificiale, esiste un'unica circoscrizione naturale, mi viene da definirla attraverso un’espressione idealista, ovvero l’assoluto, l’assoluto è un insieme completo contenente il tutto, al di sotto dell’assoluto nulla può dirsi completo, nulla può dirsi assoluto a sua volta (se non attraverso un artificio).
“Chi ha occhio per la somiglianza di famiglia può riconoscere che c’è una certa parentela tra due persone, anche senza saper dire in che cosa consista la somiglianza”.
Ancora Ludwig Wittgenstein cerca una possibile affermazione nei Familienähnlichkeit (appunto somiglianze di famiglia), un concetto del tutto diverso da quello di essenza. Socrate, uno dei primi a parlare di essenza, presentava l’esempio dello sciame di api, ognuna ha una sua particolarità, ma tutte hanno l’essenza di “apità”, ciò che le rende api. Con Wittgenstein siamo all’antitesi, non esiste un essenza che renda uguali tutte le api (nello sciame le api sono irrimediabilmente diverse), ci sono però particolari in comune, appunto le somiglianze di famiglia. In sintesi, se nel concetto di essenza, sono insignificanti le particolarità, nel concetto di somiglianza è insignificante (inesistente) l’essenza.
Le somiglianze di famiglia sono quindi un mezzo utile? È possibile individuare le somiglianze di famiglia in un insiemi incompleto?
Torniamo all’esempio del mercato: mia madre mi dice di andare al mercato e di comperare uova e farina al fine di preparare della pasta fresca, (la regola costitutiva è quindi “preparare pasta fresca”, e le uova e la farina rientrano nella famiglia “pasta fresca”). se invece mi dice di andare al mercato a comperare sempre uova e farina, ed in più latte e burro, al fine di preparare una torta, allora uova farina non rientreranno più nella famiglia pasta fresca, ma in quella “torta”. Il filo di famiglia è dato dalla regola costitutiva. Mettiamo ora il caso che mia madre non mi dica cosa intende fare con i prodotti che gli andrò a comperare, a questo punto io, pur sapendo che debbo prendere uova farina latte e burro, non potrò osservare alcuna somiglianza di famiglia, dato che in nessun modo io posso sapere se mia madre intenda fare una torta oppure intenda fare una semplice frittata di sole uova e conservare gli altri cibi!
E data anche l’incompletezza degli insiemi, io pur conoscendo la regola costitutiva il familienähnlichkeit comunque non posso individuarlo, siccome non posso affermare che la regola costitutiva che riesco ad osservare sia l’unica. Qualora vi sia un’altra regola costitutiva cambierebbe tutto, ad esempio: mia madre mi dice, di andare al mercato di comperare uova, farina, latte e burro (prima regola costitutiva), ma se andando al mercato trovo un ristorante aperto devo prendere del cibo d’asporto e non andare al mercato (seconda regola costitutiva, che in principio non ho mostrato), il tutto se mi sento bene, perché se non mi sento bene non è io caso che io scenda (terza regola costitutiva) e così all’infinito!
In conclusione pare che nessuna affermazione possa definirsi logica e scientifica se non in un sistema artificiale ed autoreferenziale. Se quindi è vero che su ciò di cui non si può parlare si deve tacere, e se su nulla si può parlare, l’io pensante è obbligato a tacere?

Tutt’altro, Su tutto si può dire, su nulla si può dire con certezza, il dire è il principio della dialettica, e attraverso la dialettica, si progredisce, si accede a oggetti prima non visibili… assunto che su nulla si può parlare con certezza, su tutto si può dire con contingenza, è questo dire tutto che porta al progresso umano, un dire senza pretendere il vero, un dire su ciò che può essere, un dire che crea!


Fabio Cirillo 


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