Buona lettura!
“Tutto il senso del libro si potrebbe
riassumere nelle parole: Quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su
ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”
Così afferma Ludwig Wittgenstein nella
prefazione del suo Tractatus logico-philosophicus.
Cosa è possibile affermare, come
bisogna farlo? Sono queste le domande poste in essere dalla filosofia
logica!
La logica classica poteva risolversi
“facilmente” , attraverso la non-contraddizione e il terzo
escluso, la verofunzionalità, ovvero, se una affermazione è
dimostrabile falsa, sarà vero il suo contrario, si io dimostro falsa
l’affermazione “ho fame” sarà vera quella che dice “non ho
fame”. Per fare un altro esempio: se io dimostro, (anche attraverso
la riduzione per assurdo), che l’oggetto della mia ricerca non è
caldo, automaticamente posso affermare che è freddo (terzo escluso:
escludo quindi il concetto di tepido), e soprattutto non posso
affermare che l’oggetto sia caldo e freddo contemporaneamente (non
contraddizione) .
Se il terzo escluso può sembrare
intuitivamente attaccabile, la non-contraddizione sembra intoccabile,
un qualcosa come può essere A e –A contemporaneamente, come posso,
razionalmente, essere e non essere allo stesso tempo?
Se affermo “io sto mentendo”, sto
dicendo una bugia o una verità?
Se io sto mentendo, allora ciò che
dico è vero, e quindi non sto mentendo;se io non sto mentendo,
allora quel che dico è vero, quindi sto mentendo. in ogni caso io
sto mentendo e non mentendo contemporaneamente.
Attraverso questo paradosso di
Bertrand Russell, mostriamo come anche il principio di
non-contraddizione non sia sempre valido. Si afferma ben presto che
l’autoevidenza degli a priori non è condizione sufficiente a porli
alla base del ragionamento, gli a priori non empirici sono
autoreferenziali e danno vita ad antinomie. Crolla la logica
classica, su cosa ricostruirla?
Innanzitutto abbattere il ragionamento
che parte dagli a priori autoapparenti, questi sono tali solo in un
sistema dato e percepito in maniera autoreferenziale.
Iniziamo a ragionare sugli oggetti.
Alexius Meinong ne distingue tre tipi:
- Esistenti (che sono nel tempo e nello spazio)
- Sussistenti (oltre il tempo e lo spazio, i numeri ad esempio)
- Inesistenti (divisi a loro volta in possibili, ad esempio la montagna d’oro [metafora usata spesso nei giochi a premi]; e impossibili, ad esempio il cerchio quadrato)
Ma in base a cosa, io affermo che un
oggetto sia esistente piuttosto che sussistente o inesistente?
Abbiamo detto che gli oggetti esistenti sono nello spazio e nel
tempo, quindi basterebbe la percezione sensoriale, ma il darsi dello
spazio e del tempo, sono comunque un elaborato dell’io pensante
soggettivo, non possono definirsi oggettivi, quindi non vi è alcuna
categoricità assoluta nell' affermare l’esistenza di un oggetto!
Lo stesso Meinong affermò che gli
oggetti sono liberi della propria esistenza, possiamo quindi, nel
discorso, parlarne “come se” esistessero.
Del resto non possiamo fare altrimenti,
dato che nulla ci garantisce l’esistenza di un oggetto, il suo
essere all’interno dello spazio e del tempo: la penna che ho in
mano, i numeri, il cavallo alato e il cerchio triangolare hanno la
stessa esistenza!
Come trattare questi oggetti?
Georg Cantor, prima degli altri, si
propose di fondare l’intera matematica sull’insiemistica, un
insieme è una “riunione M in un tutto di oggetti m (elementi di M)
della nostra intuizione o del nostro pensiero”. Successivamente
Gottlob Frege distingue l’intenzionalità e l’estensionalità
dell’insieme, la prima definisce tutti i contenuti che cadono
nell’insieme M, la seconda il modo di dare l’insieme.
Il discorso, per essere logico, deve
essere corretto e completo, ove per correttezza intendiamo:
aa
(=derivazione sintattica)
e per completezza:
aa
(= conseguenza semantica)
l’affermazione teleologica è quindi
solo possibile in un insieme completo, ovvero, in un insieme dove:
aa
aa aa aa
Un altro concetto logico fondamentale è
quello introdotto da Alonzo Church negli anni ’30, ovvero la
decidibilità: la facoltà di stabilire apriori la validità di una
formula. Una teoria (insieme di formule chiuse sotto conseguenza
logica) è decidibile se c'è un metodo efficace per determinare se
le formule arbitrarie sono inclusi nella teoria.
Per fare un esempio banale: se io ho
davanti a me tre banconote, da 10 da 20 e da 50 euro, e so che debbo
prendere quella dal valore più alto, io posso sicuramente stabilire
apriori quali valga di più e quale meno, e quindi “decidere”
quale prendere. Supponiamo invece che io abbia davanti una banconota
da 5 euro, una da 50, e una terza, che però è coperta in maniera
tale che io non possa vederla, nonostante io sappia che devo prendere
quella dal valore più alto, non posso stabilire quale delle tre sia,
e, apriori, non posso decidere quale prenderla, dovrò
necessariamente scoprire la terza, quindi decidere a posteriori!
Il concetto di decidibilità è
strettamente connesso a quello della completezza, enunciato nel 1930
da Kurt Gödel, il quale però, l’anno successivo affermo
l’icompletezza di tutti i grandi sistemi.
A proposito della completezza e della
decidibilità, riporto qui un esempio (tanto caro al mio professore)
per spiegarmi meglio: prima di recarmi al mercato per fare la spesa
io stilo una lista con tutto ciò di cui ho bisogno conoscendo i
prezzi , conosco anche la cifra esatta da spendere. Se al mercato io
mi limiterò a comprare solo gli oggetti presenti nella lista allora
la lista della spesa è un insieme completo (e, a patto che io sappia
i prezzi, decidibile), ma supponiamo che io al mercato la ampli,
sarebbe allora impossibile, prima di scendere da casa, stabilire
quanto io debba spendere!
A questo punto, quali sono gli insiemi
completi su cui si può dire a priori? Non ne esistono, ogni insieme
è incompleto, completarlo è un atto di volontà, non di conoscenza,
ogni volta che si rende un insieme completo lo si circoscrive, è
tale circoscrizione non è mai naturale ma sempre artificiale, esiste
un'unica circoscrizione naturale, mi viene da definirla attraverso
un’espressione idealista, ovvero l’assoluto, l’assoluto è un
insieme completo contenente il tutto, al di sotto dell’assoluto
nulla può dirsi completo, nulla può dirsi assoluto a sua volta (se
non attraverso un artificio).
“Chi ha occhio per la somiglianza
di famiglia può riconoscere che c’è una certa parentela tra due
persone, anche senza saper dire in che cosa consista la somiglianza”.
Ancora Ludwig
Wittgenstein cerca una possibile affermazione nei Familienähnlichkeit
(appunto somiglianze di famiglia), un concetto del tutto diverso da
quello di essenza. Socrate, uno dei primi a parlare di essenza,
presentava l’esempio dello sciame di api, ognuna ha una sua
particolarità, ma tutte hanno l’essenza di “apità”, ciò che
le rende api. Con Wittgenstein siamo all’antitesi, non esiste un
essenza che renda uguali tutte le api (nello sciame le api sono
irrimediabilmente diverse), ci sono però particolari in comune,
appunto le somiglianze di famiglia. In sintesi, se nel concetto di
essenza, sono insignificanti le particolarità, nel concetto di
somiglianza è insignificante (inesistente) l’essenza.
Le somiglianze di famiglia sono quindi
un mezzo utile? È possibile individuare le somiglianze di famiglia
in un insiemi incompleto?
Torniamo all’esempio del mercato: mia
madre mi dice di andare al mercato e di comperare uova e farina al
fine di preparare della pasta fresca, (la regola costitutiva è
quindi “preparare pasta fresca”, e le uova e la farina rientrano
nella famiglia “pasta fresca”). se invece mi dice di andare al
mercato a comperare sempre uova e farina, ed in più latte e burro,
al fine di preparare una torta, allora uova farina non rientreranno
più nella famiglia pasta fresca, ma in quella “torta”. Il filo
di famiglia è dato dalla regola costitutiva. Mettiamo ora il caso
che mia madre non mi dica cosa intende fare con i prodotti che gli
andrò a comperare, a questo punto io, pur sapendo che debbo prendere
uova farina latte e burro, non potrò osservare alcuna somiglianza di
famiglia, dato che in nessun modo io posso sapere se mia madre
intenda fare una torta oppure intenda fare una semplice frittata di
sole uova e conservare gli altri cibi!
E data anche l’incompletezza degli
insiemi, io pur conoscendo la regola costitutiva il
familienähnlichkeit comunque non posso individuarlo, siccome non
posso affermare che la regola costitutiva che riesco ad osservare sia
l’unica. Qualora vi sia un’altra regola costitutiva cambierebbe
tutto, ad esempio: mia madre mi dice, di andare al mercato di
comperare uova, farina, latte e burro (prima regola costitutiva), ma
se andando al mercato trovo un ristorante aperto devo prendere del
cibo d’asporto e non andare al mercato (seconda regola costitutiva,
che in principio non ho mostrato), il tutto se mi sento bene, perché
se non mi sento bene non è io caso che io scenda (terza regola
costitutiva) e così all’infinito!
In conclusione pare che nessuna
affermazione possa definirsi logica e scientifica se non in un
sistema artificiale ed autoreferenziale. Se quindi è vero che su ciò
di cui non si può parlare si deve tacere, e se su nulla si può
parlare, l’io pensante è obbligato a tacere?
Tutt’altro, Su tutto si può dire, su
nulla si può dire con certezza, il dire è il principio della
dialettica, e attraverso la dialettica, si progredisce, si accede a
oggetti prima non visibili… assunto che su nulla si può parlare
con certezza, su tutto si può dire con contingenza, è questo dire
tutto che porta al progresso umano, un dire senza pretendere il vero,
un dire su ciò che può essere, un dire che crea!
Fabio Cirillo
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