" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Ebook di filosofia: l'Etica Nicomachea di Aristotele

venerdì 18 marzo 2011

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SUL PIACERE


La trattazione del tema del piacere (hedoné) tocca due ordini di problemi: decidere se il piacere sia un bene in sé oppure no e analizzare il rapporto (o l'eventuale identità) tra piacere e felicità. Tradizionalmente le risposte date a tali problemi tendevano ad assolutizzare una delle due alternative: o il piacere veniva visto come qualcosa da bandire, poiché indegno della natura umana, oppure considerato come fine in sé, fine assoluto. Aristotele intende trovare la via intermedia tra tali assolutizzazioni.

Il piacere e il dolore accompagnano l'intera nostra vita e influiscono sulla virtù e sulla felicità dell'individuo. Il piacere si accompagna alla felicità e l'assenza di piacere (o il dolore) hanno conseguenze sulla felicità stessa.

Il piacere è ciò che si prova nel compiere l'azione che è conforme a natura, conforme al nostro habitus. Il piacere accompagna un habitus acquisito, non è un comportamento occasionale o causale, ma necessita di educazione.

Aristotele nega che il piacere sia un movimento, un accrescimento; non si dà più o meno piacere, il piacere è sempre in sé compiuto.



La felicità, tuttavia, non risiede nel piacere; chi prova piacere non è automaticamente felice. La felicità è attività perfetta secondo virtù che investe l'intero dell'esistenza. La felicità è uno stato complessivo, mentre il piacere è sempre puntuale. Non per questo, però, il piacere va disprezzato; anzi, esso svolge un ruolo importante nella felicità: la vita felice e virtuosa è la vita che sa servirsi in maniera appropriata dei piacere. Il piacere non è l'intero, ma è parte di un intero più complesso (la felicità). Aristotele in questo modo riesce a evitare l'assolutizzazione di uno dei due corni dell'alternativa: allo stesso tempo valorizza e relativizza il piacere.

A differenza della felicità, il piacere è connesso a desideri e  bisogni. Il piacere è il soddisfacimento di un bisogno o desiderio, mentre la felicità non si limita a colmare una mancanza, bensì apre un orizzonte di esistenza superiore, dove anche bisogni e desideri sono inglobati nell'unità armonica della vita.





La vita soltanto dedita al piacere non può essere una vita felice, poiché il piacere è sempre relativo a una mancanza ( cfr. Platone, Filebo).In questo senso anche il piacere necessita della virtù, necessita di essere goduto in maniera giusta, armonica con la totalità della vita.
Non riescono a provare piacere l'incontinente (chi conosce ciò che è giusto fare, ma non riesce a adeguarvisi) e l'intemperante (chi non riesce a valutare ciò che è giusto fare), poiché sia non riesce a resistere al piacere, sia assumere come principio norme sbagliate impedisce di provare realmente piacere.

Quando un uomo si può dire felice? In quanto stato complessivo e non condizione puntuale, la felicità non può essere giudicata a partire da un punto di vista particolare, ma solo al termine della vita ( questa concezione è tipica del pensiero greco, che connette al problema della felicità non solo la totalità della vita, ma anche come viene considerata dai posteri la vita dopo la morte della persona).

La vita felice è una vita perfettamente riuscita e piena. la felicità è compiutezza, e la compiutezza, per sua propria natura, la si può riconoscere solo a posteriori (se la compiutezza fosse definibile a priori ci troveremmo dinanzi a un'etica normativa e non teleologica). La compiutezza non dipende soltanto dal singolo, ma è costitutivamente relazionale, non si è felici da soli (è diversa dalla compiutezza del saggio stoico, non è compiutezza autarchica). La compiutezza è stato qualitativo, non quantitativo.




Sul tema della pienezza della vita cfr. D. Bonhoeffer, Etica e Resistenza e resa. In particolare riguardo il tema della morte in pienezza:

"da quando abbiamo conosciuto la guerra, quasi non osiamo assecondare il nostro desiderio che essa (la morte) non ci colga in modo fortuito, improvviso, lontani dall'essenziale, ma nel pieno della vita e dell'impegno. Saremo però noi e non le circostanze esteriori a fare della nostra morte ciò che essa può essere, cioè una morte accettata con libero consenso".

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