Max Scheler |
Nella trattazione seguente utilizzo come volume di riferimento M. Scheler, Il formalismo nell'etica e l'etica materiale dei valori, San Paolo: pp. 29- 52; 65-69; 71-81; 92-101; 203-205
Max Scheler (1874-1928), pensatore che si pone a cavallo tra Ottocento e Novecento. Appartiene alla Fenomenologia (il cui esponente più noto è Edmund Husserl). La filosofia di Scheler tuttavia è, per certi versi, alternativa a quella di Husserl.
Obiettivo della fenomenologia è istituire la possibilità di un ritorno alle cose stesse (Zuruck zu den Sachen selbst), cioè ai fenomeni. Solo così è possibile la fondazione di un sapere rigoroso (strenge Wissenschaft).
E' evidente che nella fenomenologia- che tiene conto di Kant, ma si pone dopo Kant- il concetto di fenomeno muta di significato. Sembrerebbe paradossale, all'interno del paradigma kantiano, intendere i fenomeni come le cose stesse.
Infatti, in Kant, il fenomeno ( ciò che si mostra sensibilmente, la cosa per noi) è contrapposto al noumeno (ciò che può essere solo pensato, la cosa in sé).
Invece, la fenomenologia, oltre a eliminare il riferimento al noumeno, elimina la distinzione tra cosa per noi e cosa in sé: ci sono soltanto i fenomeni, ed essi sono le cose stesse.
La fenomenologia non si pone soltanto dopo Kant, ma anche dopo ( e soprattutto contro) il positivismo, che intende per cose stesse soltanto i fatti positivi.
Proposta della fenomenologia è, quindi, la possibilità di pervenire alla cosa stessa, non attraverso un sapere che prenda come proprio oggetto fatti, cose in sé o cose per noi, ma attraverso un sapere dei fenomeni. Cogliere i fenomeni significa, dunque, cogliere la loro manifestazione, il loro manifestarsi. Il fenomeno è il manifestarsi della cosa.
Es. cos'è il rosso?: in un maglione rosso, non vedo un pigmento rosso (fatto positivo) o una rifrazione cromatica (cosa per noi), ma il manifestarsi del rosso (cosa stessa). Nel fenomeno (il maglione) noi vediamo il manifestarsi di qualcosa di essenziale (il rosso). Si vede nel fenomeno ciò che in esso si manifesta. Ciò che si manifesta è certo una proprietà della cosa, ma essa è anche relativa alla coscienza a cui si manifesta: c'è una relazione strutturale tra la cosa che si manifesta e la coscienza che la percepisce (il rosso è la coscienza che io ho del rosso). Il rosso è carattere essenziale, è il carattere della cosa nell'atto di manifestarsi a una coscienza.
Manifestarsi significa manifestare se stesso; è il fenomeno che si manifesta. Tuttavia non si da manifestazione se non per qualcuno. Si tratta di una relazione intrinseca tra il manifestarsi del fenomeno e il suo manifestarsi a una coscienza (intesa come percezione, consapevolezza).
In questo senso la coscienza è sempre intenzionale (nel suo significato latino di tendere a, essere rivolto a ). La coscienza in quanto tale è sempre intenzionalità, non si da coscienza in sé, ma sempre coscienza di qualcosa, cioè tende sempre a cogliere la manifestazione del fenomeno.
La fenomenologia inaugura un nuovo modo di vedere le cose; il suo è uno sguardo che permette la vista di fenomeni che altrimenti non potrebbero essere visti. Lo sguardo fenomenologico permette di cogliere la struttura eidetica (eidos=forma, idea), cioè la struttura essenziale, il manifestarsi della cosa nella sua pura idealità. Tuttavia non dobbiamo pensare all'idealità in termini platonici: in Platone l'idea è ricavata per astrazione ed è fuori dal fenomeno, più in alto del fenomeno; nella fenomenologia l'idea si dà nella manifestazione del fenomeno, in esso ho una percezione essenziale, e non accidentale. Per la fenomenologia nel paesaggio bello io vedo il Bello, in esso ho una visione del bello in quanto struttura eidetica.
Abbiamo detto che la fenomenologia è un nuovo atteggiamento verso le cose, è uno sguardo, e, in quanto tale, esso va educato e affinato. In un certo senso dobbiamo imparare a vedere ciò che non si sa vedere, imparare a vedere la struttura eidetica nel fenomeno. Serve una tecnica, un atteggiamento che sappia indirizzare lo sguardo: la riduzione, cioè la messa tra parentesi dell'indice di realtà, o ancora l'epoché (sospensione del giudizio).Lo sguardo fenomenologico, contrariamente al nostro atteggiamento naturale che ci fa pensare le cose come realmente esistenti, prescinde dal rapporto che la cosa ha con la realtà (cioè con l'esistenza). Ai fini di cogliere la struttura eidetica della cosa, ciò che è essenziale è il manifestarsi del fenomeno alla coscienza, e non la sua reale esistenza. Anzi, il riferimento all'indice di realtà è elemento di disturbo dello sguardo. (tornando all'esempio del rosso: per cogliere il rosso, non importa che il maglione esista o meno, ma è essenziale la percezione che la coscienza ha di esso).
La fenomenologia, nei suoi sviluppi, non è soltanto una filosofia in senso stretto, ma una metodologia, un atteggiamento di tipo descrittivo che può essere applicato a ambiti diversi tra loro. Ad esempio la lente fenomenologica, applicata alla religione permette la descrizione pura del fenomeno religioso, senza alcun giudizio previo legato all'indice di realtà dell'oggetto considerato, che possa influire sulla sua comprensione. In altre parole: per cogliere, ad esempio, il Sacro in un particolare fenomeno religioso devo prescindere da ogni pregiudizio (indice di realtà) circa quel dato fenomeno.
La fenomenologia non è, però, neutrale rispetto all'oggetto (ogni neutralità cela in sé una forma di scetticismo). Essa è radicale: mette da parte ogni indice di realtà per lasciar parlare la cosa, lascia che essa si possa manifestare in maniera pura (ideale) alla coscienza.
Si può considerare la fenomenologia come un tentativo di riguadagnare, nella modernità post-kantiana, una immediatezza. Nella filosofia antica il conoscere è un legame immediato con la cosa conosciuta, si coglie l'essenza della cosa. Nella modernità, dopo Kant, questo non è più possibile poiché non si ha più rapporto immediato con la cosa, dal momento che le cose possono essere colte solo in quanto inscritte in forme a priori trascendentali (spazio e tempo).
La fenomenologia tenta di raggiungere in una relazione reale, in una nuova immediatezza, l'essenza delle cose. Ciò può avvenire solo mettendo tra parentesi la verità empirica delle cose, lasciando cadere tutti gli indici di realtà che situano storicamente la cosa. In questo modo abbiamo dinanzi agli occhi la cosa stessa in maniera immediata. Tuttavia non si tratta dell'immediatezza ottenuta attraverso un faticoso lavoro di mediazione (la riduzione).
L'immediatezza fenomenologica è una immediatezza riguadagnata.
Nella fenomenologia la coscienza è quella struttura alla quale il fenomeno si manifesta. In questo senso, la coscienza non è una coscienza individuale (cioè la mia coscienza), ma una coscienza trascendentale, un soggetto trascendentale inteso come condizione di possibilità della conoscenza della cosa; esso non è un soggetto individuale poiché, essendo trascendentale, non esiste di per sé ma solo in quanto applicato all'atto del conoscere. Si noti che questa nozione di soggetto è già presente in Kant: non si dà soggetto al di fuori della facoltà del conoscere. Se conosco deve essere presente anche il soggetto, poiché non si dà conoscenza senza un soggetto che unifichi il materiale che proviene dalla sensibilità, ma esso è tale solo in quanto forza di unificazione all'interno dell'atto conoscitivo. In questo senso l'io penso kantiano è soggetto trascendentale.
Non essendoci una coscienza individuale, ma solo trascendentale, il mondo fenomenologico diventa un mondo di idee. Tuttavia, non si tratta di idee astratte, bensì sempre incarnate nel fenomeno. Solo così si può garantire un sapere rigoroso.
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