" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Ombre delle idee (libro di cinema-filosofia)

giovedì 17 marzo 2011

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Curi, Umberto, Ombre delle idee. Filosofia del cinema da American Beauty a Parla con lei.
Pendragon, 2002, pp. 160

Recensione di Andrea Ruggerini - 1/12/2002



Per tessere l'affascinante ragnatela con cui avvolgere noi lettori, Umberto Curi, professore ordinario di Storia della filosofia presso l'ateneo di Padova, usa otto nodi cruciali, o meglio, corrispondenze biunivoche decisive. Otto domande epistemologicamente fondanti il discorso filosofico: la bellezza, la speranza, la morte, il nichilismo, la guerra, l'arte, il vedere, l'amore, vengono messe in rapporto dialettico con coagulazioni cinematografiche discrete, autosufficienti, organiche. La saggezza di questo lavoro consiste nel porsi sul crinale di questi due versanti e segnarvi un sentiero tanto profondo quanto agilmente percorribile.

Attingendo con garbata misura alla propria conoscenza della tragedia attica e del repertorio mitologico classico, Curi svela i testi originali delle rappresentazioni filmiche odierne.


Molti hanno visto American beauty, ma chi ha colto il rapporto tra la "bellezza americana" e la "metanoia dello sguardo della quale Odiseo è archetipo"?

Partecipare emotivamente all'avventura robinsoniana di Chuck, in Cast away è la prima reazione, prevista dalla costruzione stessa della fabula, ma per individuare quale essa sia, occorre risalire a Le opere e i giorni di Esiodo, e cogliere la permanenza di elpis, la speranza, "unico antidoto idoneo a rendere gli uomini capaci di affrontare tutte le sventure, senza soccombere di fronte ad esse".


Nel percorrere il sentiero tracciato da Curi non mancano le sorprese. La critica mossa al cinema morettiano illumina "lo scacco non fortuito, ma pienamente corrispondente all'impianto nichilistico della sua poetica" in cui incorre La stanza del figlio: di fronte alla radice del tragico, la morte del figlio, Moretti misura la propria inadeguatezza, incapacità di produrre metanoia.











L'apparato fantascientifico imponente di Matrix non copre la domanda, attinente al "ti esti, a ciò che esprime l'essenza stessa del pensare, al suo fondamento", che permea tutto il film, snodandosi attraverso il mito platonico della caverna.
Una fulgida, ferrea prova di rigore intellettuale Curi la offre cimentandosi con un film complesso, a tratti intrinsecamente irritante quale Black Hawk Down, di Ridley Scott. Nonostante il tema, quello del rapporto tra politica e guerra, sia estrememente articolato e ricco di implicazioni, partendo dalla visione omerica fino a quella più completa di Platone, il filosofo mostra senza sbavature come "l'opera di Scott documenti una fasi di passaggio, nella quale si manifesta pienamente l'afasia della guerra, la sua incapacità di funzionare come grembo di nuovi ordini".
L'ingresso nel sesto nodo, quello riguardante l'arte nella sua declinazione cinematografica, attraverso A.I. di Spielberg, è spaesante. La critica qui si fa ironicamente fredda, e sulla scia del Benjamin de L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica palesa la differenza tra un cinema orga, in cui siano ancora presenti segni di vita, anima, pathos e un mecha-movie, neologismo coniato per il film in esame: "un puro prodotto tecnologico, meccanismo autoreferenziale-robot".
Dopo l'intreccio fra politica e guerra, quello fra vedere e potere è analizzato attraverso il magistrale film di Hitchcock, La finestra sul cortile, ponendo sullo sfondo l'analisi condotta da Foucault in Sorvegliare e punire e la rilettura platonica del mito di Gige. La doppia funzione della luce, consentire la vita e infliggere la morte, completa l'inquadratura sulla potenza dello sguardo.











L'ultimo svelamento riguarda l'amore. Parla con lei di Almodóvar viene letto come "radicale interrogazione sullo statuto dell'amore". Identificando nelle Metamorfosi di Ovidio il testo di riferimento, scopriamo "l'impossibilità dell'amore come relazione paritetica"; congiungendo la figura di Narciso a questa si completa la visione dell'amore come "luogo di contraddizione e di conflitti, nel quale non sempre ciò che appare corrisponde a ciò che é".
Ha radici molto profonde questo lavoro del filosofo padovano. Da un lato è visibile un naturale svolgimento della peculiare analisi filosofica curiana, tesa alla riattivazione delle chiavi ermeneutiche dell'antichità nei confronti dei temi prossimi all'uomo contemporaneo: l'amore, la guerra, la connessione fra identità e alterità, senza trascurare il precedente Lo schermo del pensiero, in cui per la prima volta si affronta il discorso del rapporto tra Cinema e Filosofia. Dall'altro non si può tacere la grande ombra di Deleuze, primo filosofo a entrare in campo nel discorso filmico. Lo scopo di dimostrare in atto l'approccio teorico di come la filosofia possa leggere il cinema è pienamente raggiunto, ciò che lascia perplessi è la singolarità della proposta. In altre parole: leggere unicamente e direttamente questo testo, ignorandone le radici, produce un vago senso di pienezza momentanea: si acquisiscono occhi nuovi per leggere le opere cinematografiche presentate, ma si avverte la mancanza di un discorso più organico, teorico, fondativo, difficilmente rintracciabile nel testo in oggetto. Il problema sussiste anche nei confronti de Lo schermo del pensiero, nel quale alla problematica sollevata si risponde con una trentina di pagine, quasi troppo pressante sia la voglia di recensire filosoficamente alcuni film particolari.
Al lettore, comunque appagato, resterà la scelta tra due speranze: continuare a leggere nuovi nuclei tematici, accettando l'estro filosofico di indubbio valore di Curi, o costruirsi, in via personale, un percorso ancora più integrato tra le istanze e analisi tecniche interne al mondo del cinema e quelle filosofiche.



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