" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Lo schermo del pensiero: cinema e filosofia (libro di cinema-filosofia)

giovedì 17 marzo 2011

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Un accorto gioco di parole che racchiude il senso del breve testo di Umberto Curi edito da Raffaello Cortina. Di fronte ad uno schermo cinematografico impariamo e ragioniamo. Se il cinema racconta, allora l'opera cinematografica è filosofia.

Umberto Curi affronta il rapporto cinema -filosofia a partire da un classico del pensiero occidentale per mostrare la natura filosofica delle opere cinematografiche. Il presupposto dal quale l'autore muove è che il cinema sia la "moderna reincarnazione del mythos classico" (U. Curi, Lo schermo del pensiero. Cinema e Filosofia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000. I numeri che seguono le citazioni indicano le pagine di quest'edizione). 
Il testo che accompagna l'autore attraverso le storie, o fabulae raccontate dal grande schermo, è la Poetica di Aristotele. Tralasciando espressamente le dispute secolari su questo classico del pensiero, l'autore utilizza il testo dello Stagirita come un nuovo strumento di indagine filosofica a partire dai film nei quali l'elemento del mythos, della trama ha un ruolo preponderante rispetto agli altri aspetti dell'opera. Aspetti, che, tuttavia, nel cinema non possono essere considerati secondari o marginali. 






L'autore è, dunque, consapevole di lasciare fuori da questa analisi parte della produzione cinematografica: per esempio, quella prevalentemente orientata all'innovazione linguistica (pp. 27, 28). Si trova inoltre costretto dai limiti di tale presupposto a non considerare nella rassegna film che, pur avendo alla base storie, sono oscurati da altri elementi quali la preponderanza dello spettacolo scenico o dalla musica. Ecco perché questo piccolo vademecum per filosofia nel cinema o, meglio, di filosofia che nasce dal cinema, non può e non vuole essere, come si legge nell'introduzione, catalogato tra le opere di critica cinematografica.
Umberto Curi sostiene che "il cinema altro non è che filosofia" (p. 30). Seguendo per l'appunto la Poetica di Aristotele bisogna considerare la tragedia come forma di poesia che si caratterizza per l'imitazione, nello specifico ciò che si imita è l'azione dell'uomo (Aristotele, Poetica, pag.9, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1999. "Nell'uomo fin dall'infanzia, è innato l'imitare: in questo differisce dagli altri animali, perché è il più imitativo e mediante imitazione opera le prime conoscenze Continuando lo Stagirita ci dice che "guardare le immagini diletta per il seguente motivo, perché capita di apprendere contemplando (…) la tragedia è, dunque, imitazione di un'azione elevata e conclusa, dotata di grandezza, con parola piacevole separatamente per ciascun aspetto nelle sue parti, di persone che agiscono e non tramite narrazione, la quale tramite pietà e paura porta a compimento la catarsi di tali passioni.."). L'analisi di Curi si fonda, dunque, sul seguente ragionamento: se la tragedia è imitazione e l'imitazione porta alla conoscenza, allora anche il cinema, o almeno quella parte di esso, laddove l'elemento racconto è prevalente, è anch'esso filosofia perché attraverso la mimesis permette di manthanein e sylloghizestai, ovvero di imparare e di ragionare.






Curi, dunque, parte da Aristotele per sostenere l'idea che il cinema come narratore moderno del mythos sollecita il pensiero, attraverso il diletto procurato dall'imitazione di uomini che agiscono. E non solo. Il rapporto cinema e filosofia è intrecciato in modo più saldo. Le trame dei racconti ben strutturati, ovvero intrecciati secondo relazioni di verosimiglianza, dalle quali scaturisce un imprevisto-necessario fanno sì che il racconto risulti thaumaston (Aristotele, Ibidem, pag.25: "Poiché, però,, l'imitazione rigurda non solo un'azione conclusa, ma anche eventi che suscitano paura e pietà, ciò si verifica in particolare[e maggiormente] quando questi si realizzano contro l'aspettativa, gli uni attraverso gli altri: così si otterrà il meraviglioso, più che se si verificasse da sé o per caso, perché anche tra gli eventi casuali sembrano più meravigliosi quanti appaiono essersi realizzati quasi appositamente…"). E la meraviglia e lo stupore altro non sono, a partire da Aristotele e Platone, che il principio del filosofare.
Umberto Curi analizza le opere in base ai paradigmi della Poetica non per emettere giudizi di valore in base allo schema bello/brutto, ma utilizza il presupposto filosofico per cui la mimesis dà conoscenza per far emergere dalle trame dei film alcune delle più famose e dibattute problematiche filosofiche.





Ecco come si possono interpretare alcuni film seguendo questo metodo.
Adele H di François Truffaut è il racconto del viaggio, ma soprattutto la narrazione di un itinerarium mentis che porta la protagonista alla ricerca della propria identità che si conclude con la scoperta narcisistica che ciò che noi cerchiamo nell'altro altro non è che noi stessi. "Inutile cercare l'altro. Illusorio immaginare di poterlo raggiungere in quanto altro (…). Fondamentalmente in-transitivo è l'amore. Essenzialmente impossibile il rapporto. Intrinsecamente irrealizzabile la comunicazione" (pp. 41,42). Adele non riconosce Pinson perché come Narciso non vede che se stessa "Pinson altri non è che l'obiettivazione di un'aspirazione, della ricerca di un amore autentico" (p. 42).
Il film di Truffaut narra dunque la storia di questo viaggio. "Ora finalmente è tutto chiaro. Colui che ha preteso di incarnare l'altro si è dileguato. Adele comprende ora con chiarezza che cosa l'abbia spinta a tentare una cosa incredibile, perché abbia avuto la temerarietà di attraversare il mare, quale palingenesi ella cercasse nel passare dal vecchio al nuovo mondo. Il viaggio alla scoperta della natura dell'amore, e quindi di se stessi, può dirsi terminato. Raggiunto l'obiettivo, reso esplicito dalla memorabile sequenza nella quale Adele sorpassa Pinson senza degnarlo di uno sguardo, continuando a guardare fisso davanti a sé, è possibile intraprendere l'anabasi." (p. 43)
Se lo spettatore, attraverso la storia di Adele, ragiona sull'impossibilità dell'amore come rapporto con l'Altro, Anni di Piombo di Margarethe von Trotta ci fa filosofare sul rapporto Stato-individuo (p. 58) mentre con Paris, Texas di Wim Wenders si riflette sul tema comunicazione e potere (p. 71).







Schindler's List è un racconto di guerra narrato dall'abile costruttore di fabulae (p. 103) che è Steven Spielberg. Il capro espiatorio è, invece, il senso filosofico de La vita è bella di Roberto Benigni, dove il protagonista Guido, solutore di indovinelli, incarna il pharmakos che salva i compagni di sventura con il suo sacrificio (p. 111) come fece Edipo il solutore di enigmi e salvatore dei mali della sua città.
The Truman show di Peter Weir non sarebbe un attacco alla televisione come strumento di tecnologia invasiva della realtà ma un'applicazione del Teorema dell'incompletezza di Gödel, una messa in scena del "dramma (…) che scaturisce dallo scacco a cui è esposta ogni pretesa di ricondurre alla trasparenza di una razionalità univoca i molti mondi che convivono nel nostro multiverso" (p. 142).
Il rapporto tra realtà e rappresentazione emerge anche dalle storie di Sliding doors di Peter Howitt (p. 149) o di Shakespeare in Love di John Madden, nel quale troviamo la raffigurazione della vita che imita l'arte (p. 158) .
L'amore e il rapporto con l'altro, la comunicazione o la sua impossibilità, il potere e la guerra, la realtà e la sua rappresentazione. Temi classici della storia della filosofia occidentale affrontati con uno strumento non convenzionale. Con questo approccio, tuttavia non emerge l'aspetto del cinema come grandioso strumento di fare spettacolo con un linguaggio non tradizionale, ma viene sottolineata la sua somiglianza alla rappresentazione teatrale. Non si considera, dunque, la diversità e specificità del cinema rispetto ad altre forme di poesia ma si mette in evidenza l'elemento che lo conserva tra le forme poetiche classiche.

Fonte: Giornale di confine






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