" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Maimonide: l'antropologia (parte 1)

sabato 23 aprile 2011

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Come la metafisica di Maimonide è dominata dall'esigenza di salvare la libertà creatrice di Dio, pur non negando l'ordine del mondo e non facendo della realtà un continuo miracolo, così l'antropologia è dominata dall'esigenza di salvare la libertà umana, sia nel dominio della conoscenza sia nel dominio morale. Si è visto come la filosofia araba avesse costantemente attribuito all'Intelletto attivo, separato e divino, l'intera iniziativa del conoscere umano. Maimonide, pur riproducendo i tratti essenziali della dottrina di Avicenna sull'Intelletto, la modifica nel senso di riservare all'uomo e al suo sforzo di miglioramento la vera e propria iniziativa del conoscere.








L'anima razionale dell'uomo è intelletto ilico, cioè materiale e potenziale, che risiede nel corpo come le anime delle sfere celesti risiedono nei corpi delle sfere stesse. Questo intelletto passa in atto e porta l'anima alla conoscenza vera e propria delle forme intelligibili, per l'azione dell'intelletto attivo che non è multiplo, né risiede in corpi diversi, come le intelligenze iliche, ma è unico e distaccato da tutti i corpi.
Fin qui nulla di nuovo: si tratta della riproduzione della dottrina di Avicenna. Ma Maimonide aggiunge che affinché l'Intelletto possa far passare all'atto l'intelletto ilico, bisogna che trovi una materia preparata a ricevere la sua espansione. A seconda che l'anima razionale sarà o non sarà convenientemente disposta, riceverà o non riceverà l'influenza dell'Intelletto attivo, passerà o non passerà all'atto; e il realizzarsi dell'una o dell'altra alternativa non dipende dall'Intelletto attivo, che rimane sempre identico, ma solo dall'uomo. Maimonide toglie così all'intelletto attivo l'iniziativa del conoscere e la restituisce all'uomo.







A seconda del grado di preparazione della sua anima razionale, l'uomo riceve in misura più o meno grande l'azione dell'Intelletto attivo e si solleva più o meno alla perfezione; giacché la perfezione per lui consiste nel divenire intelligenza in atto e nel conoscere, di tutto ciò che esiste, tutto ciò che gli è dato conoscere.
La maggior parte degli uomini riceve dall'Intelletto attivo solo tanta luce quanto basta ad attingere la perfezione individuale; altri ricevono un'azione più abbondante, che li stimola a comporre opere e a comunicare agli altri uomini la loro stessa  illuminazione.




Fonte: Storia della filosofia di Abbagnano

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