Oggi vi presento un altro articolo scritto dal lettore Fabio Cirillo.
«Voi dite bene,» rispondeva Candido: «ma noi bisogna che lavoriamo il nostro orto.»
Forse, la presente citazione, più di altre, mostra nella maniera più dispregiativa possibile, la degenerazione borghese.
Candido, dopo aver vagato per “il migliore dei mondi possibili” comprende, con sarcastico ottimismo, che l’unica cosa da fare è appunto il curare il proprio pezzo di terreno.
Curarlo a prescindere dai dolorosi fatti del mondo, nelle decadenti mura domestiche (quali quelle di una fattoria), nella sola ricerca di una serena felicità.
Ciò che caratterizza la filosofia, è proprio il voler uscire dalle mura di ogni singola disciplina; di cercare, a livello teorico, un denominatore che unisca la conoscenza tutta, il fine della filosofia è spingere se stessa oltre i limiti, oltre le colonne d’Ercole.
Colonne d'Ercole |
Il concetto di borghesia, al di la dell’immagine puramente economica, va legato al concetto di “utilità alla vita”. I greci avevano due termini per designare la vita:
-Zoe: vita biologica, immanente, che non richiede alcuno sforzo oltre il respirare.
-Bios: vita, per così dire, degna di essere vissuta.
Posizione materialista (degna del massimo rispetto filosofico), designa la vita come l’unico luogo che appartiene all’essere, ma tale assunzione, non basta da sola per indicare un modello di vitra borghese. Posizione materialista, ad esempio, era anche quella di Nietzsche, ma il suo oltreuomo è naturalmente quanto di meno borghese esista.
Il “dire si alla vita” nietzschiano dice si al bios, alla vita piena, alla struttura immanente che in se possegga anche la trascendenza. Tutt’altra cosa è il borghese dire si alla Zoe: eterna essa appare come potenza immanente pure, infinitamente sostituibile, rinuncia agli ideali, alle idee, in favore di una felicità che trova sua unica giustificazione nella serenità, nella possibilità di continuare a “vivere” (nella misura in cui vivere vuol dire respirare).
Filosofia e borghesia sono dunque agli antipodi?
Il modo di vita borghese, se pur affermassimo che non si manlevi del tutto dall’aspetto teoretico dell’essere, ne da una risposta assoluta, matematica : struttura ultima dell’esistenza è una serena felicità.
Non s’intende qui borghesia come il ceto sociale sviluppatosi in età moderna, intendiamo qui più che altro una accezione, una forma mentis, di cui, gran precursori possono essere le filosofie ellenistiche.
“Il primo impulso che l’uomo ha è quello di conservare se stesso” scrive Diogene Laerzio nelle vite dei filosofi, opponendo lo spirito di autoconservazione al piacere epicureo (il quale avrebbe anche potuto avere un qualche valore trascendentale).
“[…] il fine si identifica col vivere secondo natura. Vale a dire secondo la propria e secondo quella universale, senza compiere nulla di quanto ci vieta ordinariamente la legge universale comune a tutti, che si identifica poi con la retta ragione che percorre tutto il reale” continua lo stesso ponendo l’accento sul vivere secondo natura. Natura identificata col logos? Non si direbbe, sin da Eraclito e Parmenide il logos ha rappresentato la verità assoluta, molto più di una condizione della physis antropica da assecondare.
Tale vivere secondo natura, può trovare un suo archetipo nella “temperanza” platonica, che, come afferma il filosofo ateniese, non è altro che la prerogativa dei “produttori” non certo dei pensatori, potrebbe quindi apparire quanto mai patologica l’idea di temperanza elevata a quantum teoretico.
Proprio sul concetto di patologia si evidenzia l’aspetto più borghese delle filosofie ellenistiche, ovvero la filosofia come terapia, come cura per un uomo malato, malato di paure, di passioni o di brama di conoscere. Se tali aspetti esistenziali ed essenziali dell’uomo sono visti come una malattia, la salute è allora il non essere, o l’essere come il semplice essere biologico, come il semplice respirare, come il semplice curare il proprio orto. Già il credere nel concetto di malattia e di salute è di per se una degenerazione del libero pensiero (dalla quale però chiunque voglia fare una osservazione, chiunque voglia elaborare un giudizio non può esimersi).
Anche Nietzsche nelle sue opere parla di malattie del pensiero, (malattia storica, malattia scientifica), ma se questi sostituisce la malattia con l’incertezza, essa stessa fonte di salute e libertà, essa stessa dinamite per le colonne d’ercole, gli ellenisti sostituiscono alle certezze “malate” altre certezze, ancor più malate, ancor più piccole e strette, strette quanto le mura borghesi, o quanto il recinto di un orto.
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