Socrate si ostina a far convergere i propri interlocutori nell'ammettere che: per sapere agire bene, cioè virtuosamente, in un determinato ambito, occorre possedere il sapere che renda capaci di ciò. A questo risultato perviene attraverso l'analogia con le tecniche: il buon artigiano che sa svolgere bene la propria attività possiede un sapere capace di guidarlo a questo risultato.
La stessa cosa deve valere in ambito etico politico: questo è il nocciolo della tesi secondo cui la virtù è scienza.
Chi conosce che cosa è bene e che cosa è utile per lui, non può non farlo. Il bene è dotato di un potere incontrastabile di attrazione.
In ogni ambito della vita umana l'unico strumento capace di orientare verso il comportamento corretto è il sapere. La posizione etica di Socrate è definibile come una forma di eudemonismo, perché pone come obiettivo il perseguimento della felicità.
E' il sapere che è in grado di effettuare un corretto calcolo degli stessi piaceri, misurando le conseguenze piacevoli o dolorose che possono arrecare.
Questo è il sapere di cui Socrate dichiara di non possedere e per questo lo persegue.
Non ha senso distinguere le varie virtù.
La virtù è una sola, come è uno solo il sapere in cui esse si compendiano; sapere che cosa è bene e che cosa è male.
Nessuno fa il male volontariamente! Nessuno infatti sapendo che una cosa è male e quindi dannosa per lui, la persegue. Se egli persegue tale cosa è perché crede che essa sia bene per lui: scambia per bene ciò che non lo è!
Si riconferma allora la necessità di liberarsi dalle false credenze.
In questa liberazione e nel perseguimento del sapere, capace di orientare la propria condotta verso ciò che è realmente bene per noi, consiste il prendersi cura della propria anima e, quindi, il miglioramento di noi stessi.
Perseguendo questo obiettivo per tutta la vita, il filosofo può affrontare senza timori anche la morte.
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