Oggi vi propongo un altro articolo scritto da un lettore del mio blog!!
Cosa posso conoscere? Come posso farlo?
Non sono forse queste le principali direttrici su cui si è mossa sempre la filosofia?
Nell’antichità non vi era dubbio alcuno, per conoscere io debbo superare le apparenze. In età moderna poi, si comprese che l’unico modo che ho di approcciarmi alla conoscenza sono i sensi, ciò che vedo, ciò che sento, ciò che tocco, appunto ciò che appare, i fenomeni.
Ma come è possibile conciliare ciò che mi appare con ciò che è? Come posso dire che un qualcosa è, ed è necessariamente?
Il XVIII secolo fu un periodo di grosso sviluppo scientifico, l’illuminismo avrebbe voluto l’uomo conoscente di tutto, ma, per tornare al quesito iniziale, come posso affermare che ho conosciuto qualcosa? Come posso affermare che, oggettivamente, un qualcosa è per il medesimo nella stessa misura in cui è per l’altro? semplicemente come posso dire che qualcosa è?
Kant risponde ponendo degli a priori percettivi ed intellettivi, sebbene quindi, la conoscenza avvenga solo attraverso i fenomeni, questi vengono percepiti e “stipati” nell’intelletto in una maniera comune e uguale. Grazie all’io penso, il valore oggettivo delle scienze, e nel nostro caso dell’essere, è salvo, l’io penso, in altri termini ragion pura, si può quindi rappresentare sinteticamente come in Fig.1
La ragion pura si pone quindi come garante della facoltà di conoscere. Potrebbe quindi, a questo punto, ritornare l’idea di realtà ed apparenza scisse.
La conoscenza torna quindi a porsi come una retta platonica in cui esiste anche una funzione negartiva: Platone parlava appunto di una retta in cui inserire i gradi della conoscenza, la famosa teoria della linea
Tale retta inserita nel grafico di Fig.1 creerebbe una situazione del genere:
come punto antitieticoalla ragionb pura, possiamo individuare un concetto nietzscheiano, la forza plastica, ovvero, la capacità di vivere a prescindere dalla conoscenza oggettiva, anzi di plasmare la conoscenza, ed il mondo stesso, in base al proprio essere.
Ma se esiste un punto massimo e un punto minimo di comprensione della realtà, che senso avrebbe, per Nietzsche, porre quel punto minimo, come il grado massimo della conoscenza?
Il punto cardine dell’intera filosofia contemporanea è proprio questo, la caduta della realtà:
“Dio è morto” afferma Zarathustra, con lui non è morta solo la trascendenza, non solo la testa del Demiurgo, ma anche i suoi piedi, non solo non esiste un mondo delle idee vero, bensì nemmeno il mondo del divenire, dell’immanenza, ha qualcosa di oggettivabile, crolla, irrimediabilmente, la corrispondenza realtà razionalità.
Morta la realtà, la razionalità è una retta bidimensionale: ragione e volontà, potenza e conoscenza, sono “schiacciate” nell’essere.
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