Due sono le definizioni filosofiche fondamentali che sono state date della musica.
La prima è quella che la considera come la rivelazione all'uomo di una realtà privilegiata e divina: rivelazione che può assumere o la forma della conoscenza, o quella del sentimento.
La seconda è quella che la considera come una tecnica o un insieme di tecniche espressive, che concernono la sintassi dei suoni.
La prima concezione, che passa per essere la sola "filosofica" ma che veramente è metafisica o teologizzante, consiste nel ritenere che la musica è una scienza o un'arte privilegiata in quanto ha per oggetto la realtà suprema o divina o una sua caratteristica fondamentale. Di questa concezione si possono distinguere due fasi:
a) la prima vede l'oggetto della musica nell'armonia come caratteristica divina dell'universo e considera pertanto la musica come una delle scienze supreme.
b) Per la seconda l'oggetto della musica è lo stesso principio cosmico (Dio, o la Ragione autocosciente, o la Volontà infinita ecc...) e la musica è l'autorivelazione di questo principio nella forma del sentimento.
Entrambe queste concezioni hanno un tratto fondamentale in comune: la separazione della musica, come arte "pura", dalle tecniche in cui essa si realizza.
Platone polemizza contro i musici che vanno alla ricerca di nuovi accordi sugli strumenti (Rep, VII, 531 b) e così fa pure Plotino.
Schopenhauer e Hegel parlano della "essenza" della musica, della sua natura universale ed eterna, in quanto è separabile dai mezzi espressivi nei quali essa prende corpo come fenomeno artistico.
Fonte: Storia della filosofia, dizionario di filosofia di N.A
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