b) il Bergsonismo. Nel secondo dopoguerra, la riflessione sulla musica in Francia si raccoglie all'insegna di alcune nozioni cardinali della filosofia di Bergson. Gisèle Brelet (Le temps musical, 1949) indica il fondamento dell'espressione nella durée che pertiene ontologicamente alla vita della coscienza, facendo attenzione a salvaguardare l'autonomia delle componenti del linguaggio. Negando che la musica possa riflettere le modalità dello sviluppo discorsivo, Vladimir Jankélévitch la riconduce a un vissuto di cui sostiene l'essenziale ineffabilità, individuando il suo manifestarsi come flusso temporale continuo nell'opera di Fauré, e impegnandosi in un'interpretazione, modulata all'incrocio fra tematiche simboliste ed esistenzialiste, delle discontinuità prodotte dall'opera di Debussy.
Persuaso che l'analisi tecnica non sia altro che "un modo di rifiutare quell'abbandono spontaneo alla grazia che lo charme esige", Jankélévitch attribuisce alla musica "un je-ne-sais-quoi inafferrabile quanto il mistero dell'atto creativo".
Fonte: Storia della filosofia e dizionario di filosofia di N.A.
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