In Aristotele non c'è un termine per indicare la volontà, ma solo per volontarietà (hekousion) e involontarietà (akousion). E' differente rispetto a Kant, che parla esplicitamente di volontà (cfr. incipit della Fondazione della metafisica dei costumi: "non è concepibile nulla di incondizionatamente buono all'infuori di una volontà buona").
E' possibile isolare la volontà? Definire cosa sia in sé?
Aristotele non si interroga su di una presunta volontà in sé avente potere causale sulle azioni, ma sui motivi (piacere, dolore, desideri, fini, sentimenti ecc...) che casualmente producono l'azione. Questo però non nega la volontarietà dell'azione, intesa come esercizio volontario dei motivi (accettazione, rifiuto, affinamento, ecc...)
La molteplicità dei motivi deve essere armonizzata in unità, e tale unità è equiparabile a ciò che noi intendiamo per volontà.
La concezione aristotelica è, per certi versi, in accordo con le neuroscienze contemporanee, che tendono a negare l'esistenza della volontà e della libertà, sebbene si distanzi ante litteram dal loro esito deterministico.
E' atteggiamento naturalistico: ricondurre un fenomeno agli elementi naturali che lo causano/producono.
Aristotele comincia descrivendo ciò che è involontario (akon): quando siamo costretti a fare qualcosa (la costrizione può essere sia esterna, che interna/psichica) o quando facciamo qualcosa ignorando cosa stiamo facendo (es. ubriachezza).
Volontario (hekon):ciò che ha origine in me, che viene da me. E' ancora atteggiamento naturalistico: si cerca l'origine fisica dell'azione, indipendentemente dalle influenze esterne (es.è volontaria l'azione che dobbiamo compiere, pur non volendo).E' molto diverso dal nostro concetto di volontà: si tratta soltanto di individuare nell'autore l'origine dell'azione, non implica alcun processo di deliberazione/decisione (anche i bambini e gli animali, in questo senso, agiscono volontariamente).
Si può tracciare un confine netto tra volontario e involontario? No, nell'esperienza concreta sono entrambi compresenti (es. buttare in mare i propri beni durante una tempesta per salvarsi è sia volontario che involontario: sono io a decidere di compiere l'azione per potermi salvare, nondimeno sono costretto dalle condizioni esterne).
Si è responsabili solo delle azioni volontarie; le azioni involontarie non sono imputabili.
Aristotele introduce fra le azioni involontarie un'ulteriore distinzione:
- azioni commesse per ignoranza: pur essendo involontarie, sono imputabili; si è responsabili della propria ignoranza (ad esempio il medico che, per ignoranza, fa morire il proprio paziente, prescrivendogli il farmaco sbagliato, pur non volendo causare la sua morte, ne è responsabile: è responsabile di ignorare ciò cui era tenuto a sapere).
- azioni commesse ignorando qualcosa: non sono involontarie, ma non-volontarie (non hanno che fare con la volontà). Quindi, non sono imputabili, non se ne è responsabili (esempio se, ignorando che lo fosse, servo del cibo avariato ai miei commensali).
Nel raggiungimento della virtù non conta solo l'azione, ma anche la scelta (prohairesis). Non agiamo soltanto, ma anche deliberiamo ( a differenza della volontarietà, la deliberazione, in quanto attività razionale, non è una prerogativa di animali e bambini). Possiamo deliberare soltanto ciò che è in nostro potere, su ciò che possiamo modificare; in tal senso i mezzi possono essere oggetto di scelta, ma non i fini, poiché non sono a mia disposizione.
Ciascuno è misura a sé, non c'è un criterio oggettivo che ci guida nella scelta. Così nella scelta facciamo ricorso all'esperienza, acquisita, al carattere, inteso come abitudine stabile (habitus). Diventa decisiva l'educazione: la garanzia della bontà delle mie scelte deriva dall'esperienza, che ricevo nell'educazione. Con un gioco di parole: la mia misura si commisura su di una misura ricevuta nell'educazione.
La vita morale mira alla costruzione di un carattere (exis) stabile.
Il carattere non è da intendersi in senso psicologico (temperamento), ma è la personalità morale costruita tramite scelte ed esperienza. Il carattere pur dipendendo da me; una volta acquisito diventa stabile e permanente. Tuttavia siamo responsabili delle scelte che ci hanno portato ad acquisire quel determinato carattere. Si è ciò che si è divenuti e si è responsabili delle scelte compiute per divenirlo.
La scelta è attività pratica, è una sfida: acquisire, tramite l'esperienza, la capacità di realizzare ciò che mi è proprio, che è a mia misura.
La realizzazione dell'azione è resa possibile dalla scelta; la scelta dà direzione e senso all'azione e, in questo senso, la realizza.
La scelta (prohairesis) è l'atto finale della deliberazione (boulesis), essa precede l'azione (pro= prima).
Nella scelta interviene la saggezza (phronesis, virtù dianoetica che unisce prohairesis e boulesis), cioè la capacità di operare una scelta ben deliberata.
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