" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Ebook di filosofia: l'Etica Nicomachea di Aristotele

mercoledì 16 marzo 2011

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Ci si propone di collocare la posizione aristotelica all'interno del dibattito attuale riguardo la libertà della volontà e delle azioni, in particolare proponendola come modello alternativo a quello proposto dalle neuroscienze, in cui prevale però sovente un'impostazione deterministica.
Così facendo non ci troviamo più nell'ambito proprio dell'etica, non ci si chiede più come si debba agire, ma come accade che si agisca.
Concezione funzionalistica dell'agire: l'azione è fenomeno complesso, è inserita in diversi ambiti dell'esistenza e diversi motivi la influenzano.
L'azione, essendo sempre in un contesto, è una reazione alla situazione in cui si è collocati:l'azione risponde alla situazione, ma è anche influenzata da essa. Ad es. il timoniere compie l'azione di guidare la nave: alcuni elementi dell'azione sono in suo controllo (es. i movimenti corporei per girare il timoniere), altri non sono a sua disposizione (es. le condizioni atmosferiche) e, tuttavia, fanno parte dell'azione, poiché, influenzandola, ne costituiscono il contesto.
Si mira all'individuazione del motivo-guida, che indirizza (non determina) l'azione. E' una semplificazione concettuale (astrazione) pensare che ci sia soltanto un motivo che guida l'azione; c'è sempre una combinazione di più motivi.




Come si connettono le disposizioni alle azioni?Le azioni sono mutevoli, mentre le disposizioni sono stabili. Nell'azione ricreiamo le disposizioni; mentre l'azione non è senza fondamento, ma è fondata sulle nostre disposizioni, attitudini e sul carattere. Man mano che agisco acquisisco un'esperienza che mi caratterizza, che diventa una mia seconda natura (exis, habitus), costituita sulla base della mia prima natura (la tendenza naturale che mi è propria).
Siamo co-autori delle nostre azioni, con-causa (synaitia) delle nostre disposizioni (cfr. P.Ricoeur, Sé come un altro). L'azione viene da me (in questo senso può essere detta libera), ma non dispongo totalmente di essa; gli elementi dell'azione in mio controllo (es. i movimenti corporei)sono connessi alla situazione esterna, che influenza e determina l'azione. Si tratta di una visione olistica: prospettiva dell'intero, all'interno della quale si inserisce l'azione.

Esperimento di Benjamin Libet per provare empiricamente la libertà: si chiede alla persona di compiere un movimento (es.piegare un dito) e di indicare l'esatto momento in cui decide di farlo. I risultati dell'esperimento mostrano che la decisione segue, e non precede, l'attivazione dei gruppi neuronali responsabili del movimento. Questo risultato venne interpretato come determinismo, assenza di libertà:non c'è una mente che comanda il cervello, ma il cervello si mette in funzione prima che io decida di compiere il movimento (ovvero: io decido ciò che il mio cervello ha già iniziato a compiere).





Il modello aristotelico può fornire un'interpretazione alternativa dei risultati dell'esperimento: la scelta di compiere l'azione si fonda sulle nostre disposizioni. La decisione non è soltanto l'atto della scelta, ma l'intero processo deliberativo (in parte inconscio) e l'atto della scelta è soltanto l'ultima fase di tale processo.
Tuttavia, ammettere ciò non significa cadere nel determinismo: l'azione rimane libera poiché ha origine in me stesso, è compiuta da me. L'errore delle neuroscienze è di intendere la libertà come assenza di predeterminazioni, invece è da intendersi come evento speciale nel quale esprimo totalmente la mia personalità; l'azione libera è quella che dipende dall'intero della mia personalità (cgr. Bergson, saggio sui dati immediati della coscienza; è indicativo il fatto che la traduzione tedesca dell'opera sia stata intitolata da Bergson stesso "Zeit und Freiheit", tempo e libertà).

Argomento classico delle neuroscienze contro la libertà è quello del determinismo: anche il cervello, in quanto materia, segue le leggi naturali dove non si dà libertà, ma determinazione causale (lo stesso non vale per la mente, in quanto non è possibile definire scientificamente cosa sia).

Nella critica del determinismo ci può venire in soccorso la concezione teleologica, finalistica (telos=fine) del reale di Aristotele: egli ammette processi creativi, i quali sono regolati da un principio deterministico (nesso causa-effetto); tuttavia, escludendo il regresso all'infinito, salendo a ritroso la catena causale è necessario postulare una causa non causata: il motore immobile ( attività in sé compiuta, essere che pensa se stesso come esistente), il quale unifica e muove gli altri enti non per causazione, ma per attrazione (tendere a).




In questo senso, il determinismo non riesce a dare una spiegazione globale dell'intero, ma solo di un determinato gruppo di fenomeni. Esso vuole essere una spiegazione globale, ma per essere tale dovrebbe potersi guadagnare un punto di vista assoluto, del quale considerare l'intero che intende spiegare come un sistema chiuso. In questo senso, la sua pretesa è illegittima e perde totalmente di significato. Si tratta soltanto della trasposizione di una legge particolare su di una prospettiva globale.
Precisazione: un sistema è aperto quando è esposto all'influenza del contesto in cui è collocato. Se si include nel contesto anche l'ambiente, ogni vivente è un sistema aperto. Questo dimostra ancora infondata la pretesa del determinismo di fare della totalità un sistema chiuso.

Le leggi di natura non descrivono il reale corso delle cose, ma solo condizioni ideali e astratte, isolate dal contesto reale della vita. Nella vita reale non ci sono leggi di natura rigidamente determinate, ma leggi di struttura, dove per struttura si intendono la condizione di possibilità di una forma di realtà. Al variare della struttura emergono forme diverse di realtà e causalità. Ad es. molecole, processi biologici, processi psichici e sentimenti hanno struttura diversa, quindi sottostanno a leggi diverse e, in questo senso, sono realtà differenti (Cfr. S. Langer, Philosophy in a new key, il sentire è riverbazione; la vita psichica può essere sentita, ma non definita). Nell'emergere di nuove forme di realtà, tuttavia, quelle precedenti non vengono annullate, bensì preservate.




Intermezzo: Nel libro X la felicità massima è individuata nella vita contemplativa, poiché autosufficiente e attività senza costrizioni. La contemplazione ci permette di cogliere il logos, l'ordine che è proprio della totalità.
Perché la posizione aristotelica risulta più attuale di quella delle neuroscienza contemporanee? (Cfr. S. Toulmin, Cosmopolis). Dopo il rinascimento, con l'affermarsi della meccanica classica, si tenta in filosofia di adattare la realtà alla teoria, e non viceversa. Questo tentativo implica un modello di pensiero che procede per concetti rigidi, facendo perdere le nuances della realtà (as es. il metodo cartesiano dell'evidenza è metodo disgiuntivo: o chiaro e distinto oppure non lo è, senza alcuna sfumatura intermedia).
Tali teorie, che tendono a ridurre la complessità del reale, arrivano a influenzare anche il nostro modo di percepire il reale stesso, facendo sfuggire alla nostra percezione le sue sfumature. Contro questa impostazione si battono la fenomenologia e l'ermeneutica, che possono essere considerate come tantativi di ri-guadagnare una visione più ampia del reale.

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