I filosofi sono diversi tra loro quanto un dobermann, un botolo, un cane lupo, un pastore tedesco....Niente cani da slitta o da compagnia. Sono tutti cani da guardia. Hanno tutti un muso minaccioso, ma ognuno a suo modo. Sorvegliano- insieme, ma individualmente- la casa del Senso. Decidono per se stessi e per l'umanità se la vita valga la pensa di essere vissuta, se il mondo provenga dal caso o dal destino, ciò che debba fare la società.
I filosofi sono al tempo stesso diversi e simili, individuali e solidali. In che cosa esattamente?
Nella forma di pensiero i filosofi sono simili: tutti ragionano per concetti, tutti mirano a dei principi, ecc... Ma nel contenuto di pensiero i filosofi sono diversi: uno conservatore, l'altro rivoluzionario, chi materialista, chi idealista. Questa contraddizione è ben nota, sino alla nausea.
A me interessa un'altra contraddizione, che interviene nella vita quotidiana, che riguarda il modo di sentire la filosofia nella propria carne. Tanto i filosofi sono diversi nella vita privata (quella relativa a famiglia, sessualità, denaro, salute), tanto si mostrano simili nella vita intima (quella dello stomaco, del cuore, dei labirinti del pensiero). In altri termini, benché la vita filosofica diverga nel privato, nel familiare, essa converge nell'intimo, il privato del privato.
Uno è sposato, un altro è scapolo, ma tutti i filosofi preferiscono intimamente riconoscere la loro vera famiglia in Platone o in Aristotele piuttosto che in papà-mamma o coniuge-figli.
Uno ha una salute di ferro, un altro è di costituzione fragile, ma entrambi instaurano con il proprio corpo un rapporto intimo di lotta, per averne il controllo.
A guardare il loro percorso, si riscontra che i filosofi sono orfani (i tre quarti). Di fronte a questo fatto privato hanno una vivace reazione intima. Sono incuriositi da questa sventura o da questa stranezza, che merita di essere esaminata.
Poi, non hanno necessariamente seguito studi regolari, hanno piuttosto approfittato di biblioteche o di precettori a casa, il che presuppone uno studio ben più personale che a scuola, un'appropriazione. Quasi immancabilmente i futuri Platone giungono alla filosofia professionale frequentando altri filosofi vivi, buoni filosofi ovviamente. Questa vita privata si trasforma ben presto in vita intima, altrimenti resterebbe una semplice frequentazione. I futuri Platone si misurano con pensieri resistenti di confratelli vivi e vegeti, incamerano, vagliano, si rafforzano, si posizionano. Le problematiche dei contemporanei li stimolano più dei loro problemi personali. Ci vuole un'energia esterna per mettere in moto il proprio motore interiore!
Ora il pensiero autonomo può avviarsi. Allora il filosofo incomincia la sua carriera con una bomba o con un petardo contro la religione dominante.
Elementi comuni: i filosofi vivono all'estero (metà di loro), usano (tutti) un vocabolario terroristico, vogliono (per il 98 %) convincere a colpi di libri.
Il filosofo tipo, al momento della pubblicazione della sua opera principale, è di sesso maschile (per il 99 %), celibe (per il 70 %), sui quarantadue anni di età (in media). In quasi la metà dei casi è un insegnante, anche se si tratta di un dato ingannevole perché squilibrato dal 99 % dei filosofi contemporanei, per i quali l'unico mestiere possibile è quello di docente universitario. Moralmente il filosofo appare curioso, perseverante, sicurissimo di sé, il che non gli impedisce (nella maggioranza dei casi) di avere un fondo ansioso.
Si avverte che è solleticato da un paio di imperfezioni fisiche, come la voce stridula o un brutto viso. E' piuttosto snello, gli piace camminare a piedi (spesso).
Intellettualmente ha una memoria formidabile, è bravissimo nelle lingue antiche. Ovviamente, appare imbattibile in retorica, argomentazione, logica e... sofistica.
Con ciò, rimane ossessionato da un'antica idea, assolutamente stravagante, personalissima, che pretende di spiegare il tutto, il tutto dei suoi problemi.
Quanto al prestigio sociale, il filosofo sembra ambiguo. Dal pubblico è al tempo stesso disprezzato per la sua inefficacia e ammirato per le sue verve.
Lo si vuole ascoltare, a condizione che non tiri per le lunghe, che non monopolizzi la testa. Un discorso, un discorso! Un discorso breve!
Nel suo intimo il filosofo sperimenta un'altra ambiguità. Vuole piacere sia a un vasto pubblico sia alla ristretta cerchia di confratelli specialisti.
Se ha la popolarità, si rimprovera di essere demagogo, superficiale, mondano; se ha la stima- molti elogi, pochi lettori-, si rimprovera di esse corporativista; se le ha entrambe, cerca dolorosamente qualcosa da rimproverarsi!
Ciò che di comune si riscontra in Platone, Hegel, Simone Weil e compagnia è una volontà, la volontà di conoscere con il pensiero, logicamente e metafisicamente, il fondo delle cose, e soprattutto di verbalizzare questa conoscenza, di sancire le proprie impressioni con il piombo delle parole.
Un filosofo si definisce anzitutto per una voglia, la voglia di dire la ragione di essere, e in primo luogo la propria ragione. Ecco la sua intimità e, nel contempo, la sua esteriorità. Grida all'universo il proprio foro interiore. I risultati filosofici, sistemi o aforismi, appaiono alla fine meno importanti di questo desiderio e dei metodi utilizzati, poiché i filosofi cambiano credenze come gli alberi le foglie e i loro pensieri restano quasi sempre inverificabili.
Un filosofo non cerca tanto di trovare la verità quanto di dirsi filosofo.
Sono un filosofo, dicono che sono un filosofo, quindi l'Essere ha di che preoccuparsi e io di che esistere.
Un bel rischio, in filosofia!
Tratto da: "I filosofi: vita intima" di Pierre Riffard
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