Relazione tra infinito e finito: la condizione di finitezza e fragilità dell'uomo è ben lungi dal conseguire la santità in questa vita. Emerge la necessità di ammettere l'incondizionato quale condizione di possibilità (necessaria) della condizionatezza e della nostra condizione morale.
Per Kant è ridicolo parlare di teologia naturale (che pretende di dimostrare la necessità di Dio da argomenti di natura); non è possibile pensare l'incondizionato a partire dal condizionato.
Se Dio fosse oggetto di dimostrazione, verrebbe meno ogni libertà di credere e l'uomo non sarebbe più libero nella sua scelta morale (l'uomo si sottomette alla legge morale attraverso un atto di obbedienza libera).
(cfr. p.321, ed.Laterza)= la natura è destinata a tendere al sommo bene. Occorre osservare che il tendere di Aristotele è naturale, laddove il tendere umano produce felicità poiché corrisponde adeguatamente alla sua natura. Invece, il tendere di Kant è Streben-sforzo, si tratta di uno sforzo che implica tensione.
L'uomo non solo è individuo, ma è anche persona in forza della sua dignità morale (ciò che lo distingue dall'animale che è solo individuo). In Kant c'è un abbozzo delle filosofia della persona, che non ha mai un'esistenza isolata ma esibisce sempre un carattere di universalità (l'uomo non come mezzo, bensì come fine).
(cfr. pp 352-353, ed. Laterza): "Il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me". Kant pone l'uomo (con accenti agostiniani e pascaliani) tra l'immensità dell'universo e l'infinito interiore dato dalla legge morale.
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