" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

La morale kantiana

martedì 22 marzo 2011

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Dialettica della ragion pratica (sul modello, come già detto altrove, della ragion pura). La dialettica nella ragion pratica, rispetto alla ragion pura, ha un esito positivo, cioè ci pone dinanzi a oggetti che non ricerchiamo, ma di cui abbiamo bisogno. Siamo posti dinanzi all'incondizionato (a differenza del condizionato della ragion pura nel suo esercizio teoretico-conoscitivo).
Il sommo bene (das hochste Gut)- (hochste è superlativo relativo si hoch=alto). "Sommo" può significare "supremo" e "perfetto", reca in sé un'accezione ambigua. Quando pensiamo al "sommo bene" ci rivolgiamo a qualcosa di perfetto, all'unione di virtù e felicità. La virtù è il bene supremo, ma non perfetto, concluso in sé, giacché può essere privo della felicità.




Antinomia della ragion pratica (cfr. p.249, ed. Laterza)

Nel sommo bene la virtù e la felicità sono pensate come congiunte. Se concepiamo tale relazione come analitica, o la felicità si risolve nella virtù (stoicismo) o la virtù si risolve nella felicità (epicureismo). Tuttavia in questo caso uno dei due termini viene annullato. Invece, se la relazione è concepita come sintetica, o la felicità produce la virtù o la virtù produce la felicità. A giudizio di Kant, il primo caso è impossibile poiché le massime che ripongono il motivo determinante della volontà nel desiderio della felicità personale non sono per nulla morali e non possono fondare alcuna virtù. Parimenti il secondo caso è impossibile poiché nel mondo naturale virtù e felicità non sono mai congiunte, ma sempre distinte e opposte. L'antinomia in questione rischia di rendere impossibile il sommo bene e di ridurre la legge morale, che lo promuove, a un'impresa chimerica. 
Ne consegue che l'antinomia dev'essere sciolta e per scioglierla diviene cogente postulare una dimensione soprasensibile, dove vi sia una relazione necessaria tra virtù e felicità. Infatti il caso citato -secondo cui la virtù produce felicità- non è impossibile in senso assoluto, ma solo nell'ordine del mondo empirico.
L'uomo è chiamato all'infinito (la moralità è una scintilla di eternità dentro di noi), l'eternità dell'uomo quale vocazione all'infinito.
Postulati pratici (immortalità, libertà, esistenza di Dio): il postulato è una proposizione teoretica non dimostrabile, ma assurge a condizione di esistenza e di pensabilità della legge morale. I postulati sono presupposizioni necessarie che vengono ammesse per rendere possibile la realtà della morale stessa (es. l'esistenza di Dio non viene dimostrata, ma postulata, è una necessità che risponde a un bisogno razionale pratico).

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