" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Metafisica: Aristotele (parte 1)

mercoledì 9 marzo 2011

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La Metafisica non fu così chiamata dal suo autore. La paternità del termine viene tradizionalmente attribuita ad Andronico da Rodi (I secolo a.C.), editore di Aristotele, il quale riunì sotto questo nome tutti quei libri che nella classificazione da lui realizzata del corpus aristotelicum venivano appunto dopo i testi di argomento fisico (ta meta ta physica, "ciò che viene dopo la fisica"); in questa definizione è tuttavia già implicita l'idea della metafisica come riflessione volta a ciò che si colloca al di là degli oggetti fisici. E' però probabile che già prima di Andronico il termine fosse utilizzato.
Un'altra ipotesi, avvalorata dallo Pseudo- Alessandro (II-III secolo d.C.) assegna al termine metafisica un significato didattico, intendendo ciò che doveva essere imparato dopo l'apprendimento delle nozioni riguardanti la fisica. Bisogna però attendere Simplicio (V secolo d.C.) affinché per metafisica si indichi specificamente la scienza che ha per oggetto quelle realtà che trascendono il mondo fisico.




Aristotele (A,2) si propone anzitutto di individuare una definizione di quella scienza (episteme) che chiamiamo sapienza (sophia). Ora, essendovi scienza laddove è possibile esibire una conoscenza universale di cause e principi e poiché si sta cercando di definire cosa sia quella scienza che denominiamo sapienza, allora è chiaro che si tratta di individuare di quali principi e cause essa è scienza.
Operando con il consueto procedere induttivo, Aristotele propone la seguente argomentazione: se si tratta di definire la sapienza, può essere utile riportare le diverse ragioni per cui qualcuno è comunemente ritenuto sapiente (sophos); da qui sarà forse possibile, in un secondo momento, chiarire cosa sia la sapienza stessa.
Anzitutto (1) è considerato sapiente colui che dispone di una conoscenza molto ampia, sebbene non dettagliata, tale da coinvolgere tutte le cose; inoltre (2) è sapiente colui che eccelle nella conoscenza non solo quantitativamente ma anche qualitativamente: è considerato infatti tale colui che conosce cose che non tutti sono in grado di conoscere, perché richiedono un processo non comune di mediazione, del quale la conoscenza delle cose più semplici non abbisogna (ciò che si conosce empiricamente è immediato, semplice, a tutti comune); ancora (3) è sapiente chi raggiunge una conoscenza delle cause dell'oggetto cui rivolge la propria attenzione, in modo da andar oltre a una sua mera descrizione empirica ed è perciò (4) anche in grado di insegnare ciò che conosce; è sapiente inoltre (5) chi si dedica a una conoscenza che è perseguita per se stessa, ricercata in quanto fine a se stessa e non per gli utili che è possibile ricavarne; perciò (6) è infine sapiente chi, proprio perché dedito a una scienza che ha in sé il suo fine, non è sottomesso a nessuno; poiché la sapienza è quella scienza che non dipende da nessun'altra scienza, così il sapiente non deve dipendere da nessuno, poiché gli altri dipendono da lui.




Aristotele introduce quindi la definizione della sapienza come scienza dell'universale; chi conosce molte cose (1) le conosce in relazione ai principi universali dell'essere, che sono infatti i più difficili da conoscere (2) perché più lontani dall'immediatezza empirica e dunque coglibili solo mediante un procedimento non comune di astrazione concettuale. E le scienza più complesse es esatte sono appunto (3) quelle che vertono attorno ai principi e alle cause (4) e che risultano perciò anche insegnabili: si può insegnare infatti ciò di cui si conoscono i principi primi. Ma chi (5) dispone di quella scienza che ha in sé il suo fine, è sapiente di quel sapere che ha per fine il sapere stesso; esso non ha scopi applicativi, è la scienza propriamente tale, perché è soltanto scienza e non ha per oggetto qualcosa di altro da sé, ma assume se stessa, il  suo stesso esser-scienza, come oggetto della propria analisi.
E' una scienza che si spiega da sé, che mira alla conoscenza di ciò che è massimamente conoscibile, ossia i principi primi (3) insegnabili (4) e difficilmente conoscibili (2): solo così si possono conoscere tutte le cose (1).
L'argomentazione di Aristotele è sin qui compatta, ogni momento richiama a sostegno gli altri, fornendone così anche un'indiretta conferma.
E' in questo contesto (6) che si inserisce la nozione di sommo bene, che per Aristotele è Dio: questa scienza, che è la scienza più alta, si rivolge a un fine che è il fine supremo, ciò verso cui tutto tende; questo fine sommo è il sommo bene che, in quanto motore immobile, determina tutto il movimento ed è dunque causa e principio di tutto ciò che a lui tende.

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