" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Antichità e Medioevo (parte 3)

domenica 10 aprile 2011

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Se quindi il problema filologico della Scuola di Alessandria tendeva a risolvere i problemi di opacità interpretativa sul piano esclusivamente linguistico, quello allegorico della scuola di Pergamo adotta una strategia semantica, volta a esplicitare un secondo significato, non evidente ma ritenuto più vero di quello letterale.
Il problema si pone in termini simili, ma non identici, nel mondo ebraico-cristiano: che significato hanno i testi della Bibbia? Essi hanno sicuramente un significato religioso, ma in essi esistono anche elementi umani, storici e anch'essa è un insieme di fonti diverse che rimandano a mondi distanti.
Proprio a questo Proposito merita un breve cenno la questione inerente al nesso tra Bibbia e filosofia. Con il mio professore Claudio Ciancio possiamo sostenere che la Bibbia, testo per eccellenza del mondo occidentale, sia insieme espressione di verità e ripensamento della nozione stessa di verità intesa in rapporto alla testualità.
In essa si dischiude infatti il nesso tra rivelazione (divina), testo (linguistico) e interpretazione (umana).




La Bibbia, da una parte, è caratterizzata da una molteplicità di sensi (tra cui, in particolare, un senso storico-letterale e un senso spirituale, diviso a sua volta in allegorico, riguardante i misteri di Cristo e della Chiesa, tropologico, riguardante la condotta morale,e anagogico, riguardante il mistero escatologico), proprio perché è unità inseparabile di parola umana e parola divina e, dall'altra parte,essa evidenzia, nel suo essere un testo, che il linguaggio va inteso come luogo ove si deposita la verità (intesa come manifestazione divina).
Più radicalmente, nella sua pretesa di verità la Bibbia sottende l'esigenza di criteri di interpretazione, alla luce dei quali poter distinguere letture corrette da letture fuorvianti, nella consapevolezza però che l'autentica comprensione della Bibbia implica sempre il coinvolgimento esistenziale, nel senso che essa parla solo a colui che ha fede e cioè al lettore che crede che in essa si condensi la rivelazione divina.
Non ci si deve infine scordare che la Bibbia non va intesa solo come un oggetto di interpretazione, proprio perché essa stessa ha anche una struttura eminentemente interpretativa come emerge in particolare nel rapporto tra l'antico e il nuovo Testamento (si pensi, ad esempio, alla figura di Cristo interpretato come nuovo Adamo).




Tra le diverse nozioni che la filosofia ermeneutica novecentesca apprende dall'esperienza biblica non si possono tralasciare quelle riguardanti il nesso tra verità e linguaggio e l'approccio esistenziale come metodo che permette ad un senso (segreto) di manifestarsi personalmente.
Torniamo ora al mondo ebraico-cristiano. In questo quadro emerge la figura di Filone di Alessandria (I sec. d.C.), appartenente all'ambiente del giudaismo ellenizzante, che tende a dare un'interpretazione allegorica dei testi della Bibbia.


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Egli afferma che ogni passo delle scritture è suscettibile di doppia interpretazione, una immediata e letterale e l'altra più nascosta e allegorica. La prima è accessibile a tutti, la seconda, più importante, è accessibile solo a costoro che sono davvero interessati alla realtà dello spirito.
Nel mondo cristiano i libri del cosiddetto Antico Testamento sono letti come anticipatori della venuta di Cristo: i passi che annunciano un futuro di salvezza sono interpretati dai cristiani a partire dalla figura di Cristo che viene a perfezionare e (forse) ad abolire la legge ebraica nei suoi limiti.
Nella Seconda Lettera ai Corinzi Paolo contrappone la "lettera della legge che uccide" allo "spirito vivificante": il nuovo annuncio di Gesù è un annuncio nello spirito, la legge uccide nella sua lettera perché è una proibizione che non dà nessun aiuto per compiere il bene, mentre lo spirito dà la vita perché è l'annuncio di una salvezza, di uno spirito di Dio che attraverso Gesù Cristo si fa presente agli uomini e vive nella comunità dei credenti.

In questo testo di Paolo in cui si oppone la lettera allo spirito abbiamo uno dei luoghi fondamentali della genesi dell'ermeneutica, anche se nell'intenzione di Paolo non si trattava ancora di questo (intendendo egli con lettera e cioè con interpretazione letterale il formalismo farisaico di coloro che applicano la legge appunto alla lettera).
In tutta la storia dell'ermeneutica ci si rifarà a questa opposizione per intenderla in senso ermeneutico: il testo ha una lettera, una forma, ma anche uno spirito, la vera intenzione e nell'interpretazione di un testo complesso la differenza fra i due può diventare molto rilevante.
In altri passi Paolo parla di un velo che oscura l'Antico Testamento, un velo che solo Cristo, con la sua apparizione e le sue spiegazioni, può sollevare.

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