" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Gadamer (parte 7)

lunedì 18 aprile 2011

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C. Il fine dell'interpretazione è per Gadamer è la "fusione degli orizzonti" (Horizontverschmelung) tra testo e interprete: solo l'unificazione tra i due permette la comprensione. Ciò è possibile perché i due orizzonti appartengono alla stessa storia. Proprio perché il soggetto del sapere è sempre storico, il suo rapporto con il passato non può che assumere la forma di un'integrazione, di una fusione di orizzonti. Il carattere aperto dell'interpretazione risiede proprio nel fatto che l'integrazione a cui essa mira non è messa a disposizione dell'oggetto, ma una fusione di orizzonti, da intendersi come circolo ermeneutico e dialogo tra l'interprete e il suo oggetto, proprio perché la comprensione opera una fusione in forme "sempre nuove e vitali", in una dialettica continua di domanda e risposta. La fusione è "quel cerchio che abbraccia e comprende tutto ciò che è visibile da un certo punto" e quindi non è mai completa identità senza alterità.









Conclude la seconda parte una definizione del concetto di esperienza, non come rapporto tra un soggetto e un oggetto in sé statici e indifferenti, ma come confronto trasformante con l'altro da sé, sul modello della corrispondente - e già richiamata - nozione hegeliana. Diversamente da Hegel, però, Gadamer intende tale rapporto non come assimilazione dell'altro da parte della coscienza ma come dialogo continuo. L'esperienza storica è dialogo con la tradizione, la quale ci parla come un linguaggio: la dialettica platonica, più che quella hegeliana, assurge quindi a modello del rapporto ermeneutico con la tradizione, la quale chiede di essere compresa.
Di qui il primato della domanda, come orizzonte di senso, in quanto essa indica la direzione (senso) che orienta ogni comprensione.









In questo contesto si inserisce la polemica di Gadamer contro il procedimento dimostrativo, cui egli oppone il dialogo e la dialettica in senso platonico, come esercizio di domanda e risposta. L'interpretazione nasce proprio come intreccio di domande e risposte: l'interrogazione del testo da parte dell'interprete scaturisce già da una domanda che il testo muove all'interprete, ma d'altra parte il testo stesso è in ultima istanza anch'esso risposta a una domanda che lo precede e che deriva dal contesto in cui nasce.
La critica mossa da Habermas a questa prospettiva riguarda l'esclusiva sottolineatura gadameriana della finezza e della storicità dell'esistenza, che a suo avviso impedirebbero l'esercizio critico del pensiero (critica dell'ideologia), il quale può nascere solo dalla distanza.









D'altra parte, si può osservare come una piena e pura trasparenza critica sia impossibile senza ricadere nell'idea hegeliana dello spirito assoluto. Per Habermas l'ermeneutica manca di riflessione critica; per Gadamer l'ermeneutica (della finitezza) emancipa nella misura in cui mostra l'astrattezza dei metodi scientifici, dello storicismo, della coscienza estetica.
Dal punto di vista gadameriano, effettivamente, la critica dell'ideologia di impianto francofortese può funzionare solo assumendo come criterio un Grund in qualche modo assoluto, dichiarato esente da ogni limitazione ideologica, mentre per l'ermeneutica ogni critica può esercitarsi solo a partire da un orizzonte storico-culturale determinato.

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