" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Schleiermacher (parte 1)

mercoledì 13 aprile 2011

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File:Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher.jpg




Si potrebbe sostenere con Ricoeur che prima di Schleiermacher noi incontriamo, da una parte, la filologia applicata ai testi classici e, dall'altra, l'esegesi dei testi sacri. Nei due campi specifici, poi, il lavoro d'interpretazione varia a seconda della diversità dei testi. Un'ermeneutica generale esige, invece, che ci si elevi al di sopra delle applicazioni particolari individuando - kantianamente - le operazioni che sono comuni ai due maggiori campi dell'ermeneutica.
Ma prima di soffermarci su questa nuova impostazione del problema, che segna la svolta universalistica data da Schleiermacher all'ermeneutica moderna, è bene riferirci alla sua prima opera, intitolata "Sulla religione. Discorsi a quegli intellettuali che la disprezzano" (1799), e a quella nozione di individualità che scaturisce da essa e che è fondamentale per comprendere non solo la sua filosofia della religione ma anche la sua ermeneutica.






Con quest'opera Schleiermacher vuole mostrare che la religione condivide alcuni aspetti con le istanze fondamentali del Romanticismo e tra queste proprio l'interesse per l'individualità e per la dimensione della storicità. Tali tematiche avevano registrato una crescita d'interesse nella seconda metà del Settecento in Germania: l'illuminismo tedesco doveva confrontarsi infatti con un contesto socio-culturale meno legato alla religione tradizionale, soprattutto al Cristianesimo nella sua forma protestante.
In questa situazione emerge l'attenzione per le differenze tra i popoli, tra le culture (si vedano in proposito, tra l'altro, le riflessioni di Herder e Lessing). L'idea è che la ragione è universale, ma si manifesta in tappe storiche presso diversi popoli, considerati come entità individuali.
Collocandosi all'interno di questo clima culturale, Schleiermacher apprende dall'illuminismo l'atteggiamento antidogmatico (proporrà infatti una interpretazione libera dei dogmi), ma insieme mostra agli illuministi l'importanza e la specificità dell'esperienza religiosa (che Kant aveva distinto dalla metafisica ma non dalla morale).






Metafisica, morale e religione, a suo modo di vedere, hanno lo stesso oggetto ( e cioè il rapporto dell'uomo con l'universo), ma lo trattano diversamente. Infatti, mentre metafisica e morale vanno dal finito all'infinito (non riuscendo mai in realtà, proprio per la mediazione che le connota, ad uscire dal finito), la religione coglie immediatamente il finito nell'infinito e l'infinito nel finito. Quel che la metafisica cerca di conoscere e la morale tenta di realizzare pezzo a pezzo la religione lo coglie immediatamente ( e proprio per questo suo coglimento dell'unità organica del tutto la religione può costituire un principio animatore e unificatore della metafisica e della morale, che senza religione rischiano infatti l'astrattezza).
Oggetto del sentimento religioso è quindi l'universo, il tutto, non un Dio personale.
Ma questo rapporto immediato tra finito e infinito connotante la religione non sottende la dissoluzione panteistica del finito nell'infinito, bensì la presenza dell'infinito nel finito.

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