Il criterio di questa storia dell'ermeneutica che mi accingo a delineare nei suoi snodi fondamentali consiste nel privilegiare quei momenti che appaiono in modo particolare momenti di chiarificazione e verifica della coscienza del problema ermeneutico. Con quest'ultima intendiamo la coscienza di quella situazione tipica del comprendere in cui l'interprete, nell'incontro col testo, è messo a sua volta in gioco da questo incontro, che non è quindi metodicamente riconducibile al rapporto tra un soggetto (interprete) ed un oggetto (testo), ma è da intendersi come un plesso unitario, un continuo movimento di rimando, che implica una estensione della nozione di testo, il quale non è solo scritto, ma include ogni aspetto dell'esperienza e la verità stessa.
La coscienza del problema ermeneutico fa emergere altresì che il lettore è trasformato dall'esperienza di comprensione che fa e il testo, a sua volta, all'interno del processo interpretativo, muta in qualche modo esso stesso, manifestando nuovi sensi prima ancora impliciti.
Non si deve però scordare che nel Novecento, pur in presenza della filosofia ermeneutica, i due momenti (tecnico e generale) dell'interpretazione restano comunque in tensione, secondo una prospettiva per certi versi imparentata con il rapporto conflittuale esistente tra filosofia continentale (che intende l'ermeneutica soprattutto in senso generale) e filosofia analitica (più vicina, in un certo senso, ad un'ermeneutica in senso tecnico) e in base ad una tensione tipica del circolo ermeneutico, inteso come nesso tra parti e tutto e tra uomo e mondo.
Un ultimo cenno introduttivo merita di essere fatto a proposito del rapporto tra ermeneutica e religione (tralasciando qui altre questioni che via via emergeranno nel prosieguo della nostra indagine, quali quelle inerenti al rapporto tra tradizione e modernità, al concetto di distanza temporale, e al rapporto dell'ermeneutica, nel suo nesso strutturale con la dialettica, rispettivamente con la metafisica, l'etica e l'estetica).
Come ricorda Gianni Vattimo, secondo Dilthey il riconoscimento della filosoficità dell'ermeneutica implica necessariamente una sua preliminare secolarizzazione, un suo liberarsi dai legami con la teologia e l'esperienza religiosa.
In realtà, si tratta invece di evidenziare come proprio la permanente connessione che nella storia del pensiero c'è sempre stata fra ermeneutica e religione è quella che più nettamente manifesta la sua vocazione a farsi problema filosofico di portata generale per la definizione dell'esistenza umana.
Infatti, anche se di fatto la generalizzazione dell'ermeneutica dal campo ristretto dell'esegesi biblica a quello più vasto della lettura e della comprensione di testi scritti di ogni tipo è stata tappa decisiva per il sorgere dell'ermeneutica filosofica, la lunga storia precedente dei legami ermeneutica-religione non ha un significato solo negativo, ma anzi, in definitiva, è proprio quella che fa da sfondo alla sua generalizzazione sul piano filosofico, proprio in forza del concetto stesso di religione come esperienza di (rapporto con la)totalità.
Avendo quindi sullo sfondo la linguisticità del comprendere (proprio perché l'interpretazione si attua sempre in un contesto linguistico), il ruolo dell'interprete, la questione della verità e quella connessa della libertà - che è forse il cardine stesso dell'interpretazione, nel suo essere quest'ultima esercizio rischioso e personale, proprio in quanto atto non assicurato metodicamente, di apertura di un interprete nei confronti di ogni interpretandum e anzitutto della verità - possiamo ora cominciare a ripercorrere le principali tappe e le essenziali figure della storia dell'ermeneutica filosofica.
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