" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Appunti per la lettura dell'Encomio di Elena (3)

giovedì 25 agosto 2011

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Il sesto paragrafo dell'Encomio di Elena vede Gorgia impegnato a scoprire il primo dei quattro fondamenti della sua arringa apologetica. Elena si sarebbe data a Paride poiché costrettavi dal destino, dagli dei, dalla necessità.
Qui Gorgia giustifica la sua tesi difensiva con un argomento tradizionale, tale da garantirgli l'assenso automatico del pubblico. Rappresenta infatti il divino nei termini in cui i suoi ascoltatori sono da sempre abituati a percepirlo, separato cioè dall'umanità da un'incolmabile distanza, imperscrutabile nei suoi disegni, inesorabile nell'imporre all'uomo la propria volontà. Come potrebbe dunque essere colpevole Elena se fu costretta dagli dei a cedere a Paride?
Tuttavia, Gorgia abbraccia i dogmi della cultura e della religione ufficiale per rendere maggiormente disponibile il pubblico a recepire i contenuti più originali e anticonformisti del suo pensiero.
Infatti, subito dopo aver descritto il divino in termini che potremmo definire sofoclei, se non omerici, Gorgia dichiara che "è fatto naturale che non sia il più forte a trovare gli ostacoli da parte del più debole, ma che sia il più debole a venir comandato e guidato dal più forte". La legge del primato del più forte si veste ancora dei panni tradizionali dell'esempio mitologico, ma è introdotta con una spregiudicatezza che si pone come obbiettivo il riconoscimento di una verità di fatto che opera nel mondo degli uomini.

Nelle sue tragedie Sofocle (497-406 a.C.) non presenta alcun punto di contatto fra dei e uomini sulla verticale dell'accadere, ma sul piano della vita etica la divinità entra addirittura nel cuore degli uomini come norma di condotta, come portatrice di valori assoluti: onorare Zeus, venerare la giustizia, parlare e agire con purezza di intenti, onorare i defunti sono le leggi che stanno nel cuore dell'uomo se solo le voglia ascoltare. Gorgia invece non colma il solco fra l'onnipotenza divina e la precarietà della condizione esistenziale dell'individuo con l'affermazione di valori assoluti, di leggi non scritte che sono connaturate al fatto stesso di essere uomini, ma ricava dall'enorme distanza che separa dei e uomini in termini di potenza solo la generale legge di natura della prevalenza del più forte sul più debole.






Non è una posizione radicalmente innovativa: già il poeta Pindaro (518-438 a.C.) giustifica il primato dell'aristocrazia sulla base del nòmos basiléus (legge divina), concetto che egli intende come una sorta di norma universale, di forza divina che regna su tutto l'universo, impone la superiorità del più forte e ne giustifica il potere perché lo fonda sulla legge atonale che impregna di sé la realtà tutta e che oltrepassa i confini di legge dell'uomo e delle sue azioni per diventare la legge imposta da Zeus all'intero cosmo.
Eracle è dunque per Pindaro il modello mitologico esemplare perché è la rappresentazione più esaltante del principio agonistico della conquista e della vittoria ottenuta con dura fatica, con generoso sforzo. Gorgia però non ripropone tout court il pensiero di Pindaro, ma si incammina sulla strada di utilizzare in senso naturalistico e privo di qualsiasi implicazione religiosa il principio del nòmos basiléus.

Quello che leggiamo nel sesto paragrafo dell'Encomio di Elena non ci consente tuttavia di affermare che Gorgia voglia qui sostenere il rifiuto del nòmos nella forma codificata dalla città, cioè il rifiuto delle leggi scritte dagli uomini che, nel caso ateniese, si fondano sui principi dell'uguaglianza e della concordia, per affermare in modo spregiudicato il principio naturale del più forte. Si può solo dire che l'Encomio di Elena fornisce uno spunto, una premessa di questa posizione senza però che vengano tratte tutte le conseguenze. Conseguenze che nei sofisti posteriori a Gorgia portano a posizioni addirittura antitetiche dovute alle rispettive, opposte interpretazioni che vengono date della legge di natura.
Per esempio Antifonte identifica la legge di natura con la spinta verso ciò che è utile e crea concordia, valori che la legge della città tende a non riconoscere; per questo può affermare l'uguaglianza di natura fra tutti gli uomini, greci o barbari che siano. All'opposto Trasimaco sostiene che la legge di natura si identifica con il diritto del più forte, perciò la giustizia è l'utile del più forte, le leggi sono solo i pretesti con i quali i potenti giustificano la tutela dei propri interessi, è più vantaggioso essere ingiusti che giusti. Gorgia non si esprime né in un senso né nell'altro, ma si limita a gettare sul tappeto la questione dell'esistenza di una continuità, di un rapporto di dipendenza fra legge e natura: sono i sofisti allievi del suo magistero coloro che sviluppano il concetto nel senso di un'antitesi, variamente intesa come s'è visto, fra natura e legge.


Fonte: "Encomio di Elena" Gribaudo Editore

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