" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Platone: la revisione della dialettica

giovedì 11 agosto 2011

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I procedimenti da seguire nella dialettica vengono presentati nel Fedro: "ricondurre ad un'unica forma ciò che è molteplice e disseminato" (synagoghe) e "smembrare l'oggetto in specie, guardandosi dal lacerarne alcuna parte" (diàiresis).
Platone insiste particolarmente su questo secondo aspetto; una volta divisa un'idea secondo le sue specie, ognuna di queste può, a sua volta, rappresentare un'idea che comprende ancora altre specie, ognuna di queste può, a sua volta, rappresentare un'idea che comprende ancora altre specie, cosicché il metodo della divisione permette di cogliere i rapporti e la gerarchia delle idee. Esse vengono indicate  e analizzate nel più complesso dei suoi dialoghi: il Parmenide.

Anzitutto, esistono idee per ciascuna delle realtà della nostra esperienza? 
La risposta è che per cose come giusto, bello, quiete, movimento, pluralità, unità ecc... ci sono certamente idee. E' dubbio invece che ci siano idee di cose come uomo, fuoco, acqua ecc... Non ci sono certamente idee di cose come cappello, fango, sudiciume ecc...
Poi si pone il problema del rapporto fra le idee e oggetti sensibili: come può un'idea  essere partecipata da più oggetti, senza che la sua unità si frantumi nel molteplice?
Inoltre, dal momento che l'idea è la forma unica sotto cui si raccolgono più oggetti, se noi consideriamo la totalità di essi più la loro idea, dovremo raccogliere il tutto sotto un'altra idea ancora e così all'infinito (è questo il cosiddetto argomento del terzo uomo, di cui parla anche Aristotele nella Metafisica).

Ma la difficoltà più grave, secondo Platone, è che "le cose della nostra esperienza sensibile, che pure hanno lo stesso nome delle idee, sono ciò che sono in relazione fra di loro, e non rispetto ai generi" (uno schiavo, per es., è tale in rapporto a un uomo concreto che è il suo padrone, non in rapporto all'idea di padrone).
Altrettanto vale a proposito delle idee (che ora Platone designa di preferenza col termine "genere"): sembra che esse debbano essere in rapporto solo fra loro, e non con le cose concrete.
L'assoluta separatezza fra idee e cose renderebbe quindi vana la stessa affermazione dell'esistenza delle idee, in rapporto alla conoscenza della verità. Per uscire da quest'aporia, nel Parmenide Platone affronta la discussione del rapporto fra l'uno e i molti, fra l'essere e il non-essere, sostenendo che dell'essere, come concepito dagli Eleati, non è lecito predicare alcunché, neppure che è uno, in quiete ecc.












In alternativa, la posizione propria di Platone è enunciata nel Sofista: il non essere non si contrappone all'essere come la sua negazione assoluta, ma è da intendersi come diverso, quindi come una negazione relativa, che ha una sua realtà al pari dell'essere. 
Quando infatti di un'idea o di una cosa si dice che essa è, non perciò si intende che si identifichi con l'idea stessa dell'essere, bensì che semplicemente ne partecipa, al pari delle infinite altre idee o cose, di cui si dice che sono.
Analogamente avviene quando si procede ad attribuzioni di predicati: se di qualcosa, per es., si dice che è identico a sé stesso, non perciò lo si identifica con l'identità stessa; tant'è vero che contemporaneamente si può dire di esso che è diverso da altri, ossia che partecipa anche della diversità.
Essere, identità, diversità sono tre dei cinque "generi sommi" che Platone considera nel Sofista: gli altri due, quiete e movimento, sono esempi di idee che non possono essere predicate contemporaneamente di un medesimo soggetto (altrimenti avrebbe luogo una contraddizione); mentre questi altri due generi partecipano degli altri tre.
In tal modo è indicata la varietà dei rapporti fra le idee: alcune infatti si partecipano reciprocamente e altre no.
Di qui anche la giustificazione dei giudizi negativi: allorché si nega che alcunché appartenga a qualcosa, non si intende negare l'essere a quest'ultimo, bensì semplicemente asserirne la diversità nei confronti di quel che partecipa di tale predicato; e questo è l'unico senso legittimo della negazione dell'essere.
Platone presenta una siffatta conclusione come il "parricidio" che è necessario compiere nei confronti di Parmenide.
L'affermazione dell'esistenza del non-essere nel senso dell'altro da permette anche di risolvere il problema dell'errore (che già era impostato nel Teeteto): il discorso falso è quello che dice "cose diverse da quelle che sono".

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