Il tipo di verso impiegato da Parmenide nel suo poema è l'esametro, il verso della tradizione epica.
Come in questa tradizione, anche Parmenide illustra nel proemio il rapporto privilegiato che il suo messaggio, trasmesso attraverso il racconto poetico, ha con l'insegnamento proveniente dal mondo degli dèi. Questa illustrazione prende la forma della narrazione di una vicenda, di cui Parmenide stesso è il protagonista e, insieme, il narratore in prima persona.
Questa vicenda è un viaggio verso la verità!
La metafora del viaggio rimarrà una costante nella riflessione antica: dal termine hodòs risulta centrale, come si noterà, anche per tutta la prima parte del poema.
L'iniziativa del viaggio, tuttavia, e soprattutto la direzione che esso assume, non dipende da Parmenide, ma dalle dee che lo conducono, così come, varcata la porta che separa i due domini delle tenebre e della luce, sarà la dea a comunicargli quale via di ricerca egli dovrà, in futuro, percorrere.
Il racconto di Parmenide riguarda dunque non una rivelazione già compiuta; questa, infatti, fornisce solo i caratteri generali della via lungo la quale occorrerà proseguire la ricerca e soprattutto formula i divieti relativi alle vie che non bisogna percorrere, cioè quelle comunemente battute dagli uomini in preda alle opinioni.
Sesto Empirico, l'unico autore antico che ci riporta questi versi, cercherà in essi alcuni presupposti della posizione scettica, in particolare la critica alla validità delle sensazioni come strumento conoscitivo, ma il proemio di Parmenide non restringe la sua portata soltanto a questa dimensione gnoseologica.
"Le cavalle che mi trascinano, tanto lungi, quanto il mio animo lo poteva desiderare
mi fecero arrivare, poscia le dee mi portarono sulla via molto celebrata
che per ogni regione guida l'uomo che sa.
Là fui condotto: là infatti mi portarono i molti saggi corsieri
che trascinano il carro, e le fanciulle mostrarono il cammino.
L'asse nei mozzi mandava un suono sibilante,
tutto in fuoco (perché premuto da due rotanti cerchi
da una parte e dall'altra) allorché si slanciarono
le fanciulle figlie del Sole, lasciate le case della Notte,
a spingere il carro verso la luce, levatisi dal capo i veli.
Là è la porta che divide i sentieri della Notte e del Giorno,
e un architrave e una soglia di pietra la puntellano:
essa stessa nella sua altezza è riempita da grandi battenti,
di cui la Giustizia, che molto punisce, ha le chiavi che aprono e chiudono.
Le fanciulle allora, rivolgendole discorsi insinuanti,
la condivisero accortamente a togliere per loro la sbarra
velocemente dalla porta. La porta spalancandosi
aprì ampiamente il vano dell'intelaiatura, i robusti bronzei
assi facendo girare nei loro incavi uno dopo l'altro:
gli assi fissati con cavicchi e punte. Per di là attraverso la porta subitamente diressero lungo la carreggiata carro e cavalli.
La dea mi accolse benevolmente, con la mano
la mano destra mi prese e mi rivolse le seguenti parole:
"O giovane, che insieme a immortali guidatrici
giungi alla nostra casa con le cavalle che ti portano,
salute a te! Non è un potere maligno quello che ti ha condotto
per questa via (perché in verità è fuori dal cammino degli uomini),
ma un divino comando e la Giustizia. Bisogna che tu impari a conoscere ogni cosa, sia il cuore inconcusso della ben rotonda Verità
sia le opinioni dei mortali, nelle quali non risiede legittima credibilità".
"Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero
né l'abitudine nata dalle molteplici esperienze ti costringa lungo questa via,
a usar l'occhio che non vede e l'udito che rimbomba si suoni illusori
e la lingua, ma giudica col raziocinio e la pugnace disamina
che io ti espongo. Non resta ormai che pronunciarsi sulla via che dice che è".
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