Dalla dissoluzione dell'hegelismo, escono, a suo modo di vedere, due linee: Feuerbach e Kierkegaard. Il primo rovescia il sistema nel senso che non è lo spirito, l'infinito ad essere la fonte della concretezza dell'umano, ma il contrario; il secondo invece disarticola il sistema per cui il singolo non è riducibile alla totalità, ma rimane di fronte a Dio come all'essere eterno che tocca il tempo nell'istante. Queste due posizioni si sviluppano nelle due correnti che dominano la scena della filosofia continentale post-hegeliana: da un lato si afferma il marxismo, dall'altro l'esistenzialismo di Heidegger e Jaspers.
Ma, secondo Pareyson, anche l'esistenzialismo resta imprigionato nelle categorie di Hegel usate già da Kierkegaard, ossia pensa l'uomo, il finito come negativo. Si tratta di una concezione antropologica inadeguata che porta a una visione sempre negativa dell'umano.
Per superare questa impostazione Pareyson sviluppa un personalismo che non privilegia l'aspetto teorico dell'uomo, ma tenta di coglierne ogni aspetto positivo e negativo: l'esistenza è caratterizzata nel suo rapportarsi a se stessa in quanto si rapporta ad altro, è coincidenza di autorelazione ed eterorelazione, in cui l'altro primariamente è l'essere: si tratta di un "personalismo ontologico", fondato su una concezione della persona, intesa - nel suo essere "positiva e insufficiente"- come rapporto con l'essere (Esistenza e persona, 1950).
A questa prima fase (esistenzialistico-personalistica) della riflessione pareysoniana, ne segue una seconda più specificatamente ermeneutica, in cui si inserisce il testo Verità e interpretazione che si sviluppa negli anni Sessanta.
Per sviluppare la propria ermeneutica, Pareyson parte da una critica alla prospettiva heideggeriana: Heidegger ha legato il pensiero all'essere, ma ha concepito quest'ultimo come qualcosa che si sottrae a tal punto da divenire inafferrabile e ineffabile.
A questo "misticismo dell'ineffabile" Pareyson sostituisce invece "l'ontologia dell'inesauribile", una prospettiva per cui la filosofia si radica nella verità, intesa nel senso dell'essere dell'esistenzialismo e non della totalità hegeliana; l'essere però non rappresenta heideggerianamente ciò che sempre si ritrae, ma indica una radice, una fonte d'essere (la verità) che non viene mai esaurita (in quanto inesauribile) e che è colta nell'interpretazione, anche se sempre solo nella sua ulteriorità rispetto ad essa.
Pareyson introduce anche una riflessione sull'atteggiamento del pensiero adeguato, autentico: esso è espressivo e rivelato insieme, cioè si esprime sempre la relazione storica, esistenziale con la verità e insieme rivela quest'ultima. Ma vi è anche un pensiero che si limita solo a esprimere il tempo e rimane espressione dei propri interessi, pur presentandoli sotto la forma della verità: si tratta dell'ideologia come falsa coscienza.
Ciò si qualifica comunque solo all'interno di una scelta libera per la filosofia o per un pensiero strumentale. Il tema della libertà come alternativa fra fedeltà o tradimento della verità verrà poi sviluppato nella terza fase del pensiero pareysoniano, nella cosiddetta "ontologia della libertà".
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