Il testo Verità e interpretazione è del 1970 e fornisce i punti salienti della teoria dell'interpretazione pareysoniana. Pareyson esordisce affermando come ogni relazione umana abbia un carattere interpretativo: l'interpretazione però è universale in quanto originaria e cioè nel suo essere apertura all'essere - verità. Interpretare significa trascendere l'ente verso l'essere. L'ermeneutica è dunque radicata nell'ontologia e l'ontologia è tale perché è ermeneutica: la verità si dà nell'interpretazione e l'interpretazione è solo della verità.
L'interpretazione ha un aspetto storico, espressivo e ha insieme un carattere rivelativo.
Proprio per questo motivo le interpretazioni sono molteplici, ogni esistenza è infatti rapporto con l'essere e quindi può essere interpretazione della verità: la pluralità è segno della ricchezza dell'essere.
Non si deve però pensare che l'interpretazione sia radicalmente soggettiva perché essa è comunque un modo in cui si coglie la verità, si esprime il proprio radicamento nell'essere.
L'unicità della verità e la molteplicità delle sue interpretazioni sono inseparabili, perché secondo un modello esistenzialistico non vi è un accesso separato alla verità, ma ad essa si giunge attraverso la propria storicità.
Errata sarebbe però l'idea che l'interpretazione possa porsi al posto della verità, altrimenti o un'unica interpretazione avrebbe il monopolio della verità o tutte le interpretazioni sarebbero suoi travestimenti. Il dogmatismo e il relativismo stanno così sullo stesso piano perché presuppongono una concezione oggettivata della verità, confondendo e separando unicità della verità e molteplicità delle sue interpretazioni, mentre la verità è sempre solo in un'interpretazione.
L'interpretazione non è dunque un rapporto tra soggetto e oggetto: al soggettivismo va sostituita la nozione di persona come apertura all'alterità e d'altra parte l'essere, la verità non può essere colta come oggetto, proprio perché non è a disposizione. La verità è fonte inesauribile e non è né un contenuto ne virtualità. Il rapporto alla verità non è una relazione parte-tutto, non è un tutto che si ottiene mettendo insieme le parti (di verità), perché essa non è un ente; e a questo riguardo non vale neppure il modello dell'esplicitazione, perché la verità è inesauribile e dunque l'interpretazione ha sempre qualcosa di non-detto. Questo implicito può stimolare sempre di nuovo, senza che possa essere comunque portato a esplicitazione completa.
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