Il paragrafo 21 è l'epilogo dell'Encomio di Elena. Gorgia dice di aver scritto il discorso con diletto personale e con il piacere tutto intellettuale di essere andato contro un'inconsistente dòxa, di aver eliminato un vano pregiudizio e aver ristabilito la verità del lògos, vero non perché descrive i fatti come capitarono realmente, ma perché li descrive in successione logica stringente, non contraddittoria e in una forma così raffinata da persuadere il pubblico.
Il compiacimento sornione di Gorgia non deve però indurre il lettore a considerare questo suo discorso come un mero esercizio di funambolica abilità retorica, come un plateale gioco dialettico.
C'è senza dubbio il sottile piacere, fors'anche la soddisfazione pervasa d'ironia, di aver sovvertito l'interpretazione tradizionale, radicata, canonica del mito di Elena, ma nell'Encomio di Elena gordiano si intuiscono anche implicazioni di pensiero ben più serie e significative.
Gorgia sembra ritenere l'esistenza umana un'avventura guidata e sorretta non dalla ragione, ma condizionata da un fondo di misteriosa irrazionalità.
L'azione umana non appare libera e autonoma, ma vincolata da un inconoscibile destino, dalle circostanze, da fatti contingenti, da menzogne e passioni.
L'uomo risulta in questo modo sempre determinato e incolpevole perché soggiogato e avvinto da forze che lo sovrastano e ne irretiscono le azioni.
Il significato esistenziale dell'Encomio di Elena sta nell'inquietante consapevolezza della fragilità della condizione umana, del senso tragico della vita che Gorgia condivide con i più grandi tragediografi a lui contemporanei, Euripide in particolare.
Fonte: Encomio di Elena Gribaudo Editore
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