" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Teoria musicale nella Repubblica di Platone

giovedì 30 giugno 2011

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Riporto un frammento di un libro che ho letto molto tempo fa! Sinceramente ritengo che è molto interessante e spero che sia così anche per voi!!
Buona lettura!!!

Pitagora, l'uomo che udiva la musica consonante delle sfere e degli astri.

mercoledì 29 giugno 2011

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[...] valendosi di un divino potere, ineffabile e arduo a concepirsi, (Pitagora) sapeva tendere l'orecchio e fissare la mente alla sublime musica celeste. Ed era l'unico, come spiegava, in grado di udire e intendere l'armonia universale e la musica consonante delle sfere e degli astri che entro queste si muovevano. Questa armonia rende unamusica più pura e più piena di quella umana, grazie al movimento dei corpi celesti, il quale è caratterizzato da suprema melodiosità ed eccezionale, multiforme bellezza. Queste ultime sono il prodotto dei suoni celesti, i quali traggono sì origine dalle ineguali e in vario modo tra loro differenti velocità, grandezza e posizione dei corpi, ma sono nondimeno collocati in reciproca relazione nel modo più armonico.



Questo racconta tra il III e il IV secolo, Giamblico , per il quale la filosofia pitagorica era la filosofia per antonomasia.  



Testo da: Giamblico, La vita pitagorica, BUR,pag 195


ARMONIE MUSICALI E RAPPORTI ARMONICI

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XXVI - In che modo e secondo quale metodo Pitagora scoprì le armonie musicali e i rapporti armonici e ne trasmise ai discepoli l'intera scienza.
Una volta, mentre era teso nello sforzo di rilettere e calcolare se gli fosse possibile escogitare uno strumento che offrisse all'udito un sicuro e infallibile aiuto, quale davano alla vista il compasso, il regolo o la diottra, ovvero la bilancia e l'invenzione delle misure al tatto, passò davanti all'officina di un fabbro e, per sorte in certo senso divina, ebbe a udire dei martelli che battevano il ferro sull'incudine e davano suoni tutti in perfetto accordo armonico reciproco, tranne una coppia.In quei suoni Pitagora riconosceva gli accordi di ottava, di quinta e di quarta, e notava che l'intervallo tra quarta e quinta era in se stesso dissonante, ma idoneo a colmare la differenza tra l'una e l'altra.

( 116 ) Lieto che con l'aiuto divino il suo intento venisse a realizzarsi, entrò nell'officina e grazie a svariate prove capì che la differenza nell'altezza dei suoni dipendeva dal peso dei martelli e non dalla forza con cui si batteva, né dalla forma dei martelli medesimi, né dalla posizione del ferro battuto. Poi, dopo aver fissato con la massima precisione il peso dei martelli se ne tornò a casa. Qui fissò all'angolo di due pareti un unico piolo - questo perché non fosse il piolo a causare il manifestarsi di qualche differenza né si poetesse sospettare che un eventuale errore dipendesse dall'esistenza di pioli distinti -; al piolo legò una dopo l'altra quattro corde di uguale spessore e tensione, fatte della stessa materia e dello stesso numero di fili, e all'estremità inferiore di esse attaccò un peso, badando a che le corde fossero di lunghezza perfettamente uguale.

( 117 ) Quindi, pizzicando le corde a due a due alternatamente trovava gli accordi già menzionati, uno per coppia di corde. [...] Secondo la tradizione Pitagora scoprì in questo modo la musica e dopo averla organizzata in un sistema la trasmise ai discepoli perché fosse loro d'ausilio a raggiungere ogni nobile scopo. ( 121 )

*

Questo racconta in greco, tra il III e IV secolo, Giamblico di Calcide ne La vita pitagorica, XXVI, 115-121, BUR, pagg. 261-269     

LA MUSICOTERAPIA DI PITAGORA da La Vita Pitagorica di Giamblico

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XXXV - In quale modo per mezzo della musica e di melodie egli [ Pitagora ] educava gli uomini in momenti determinanti e quando procuravano loro particolare affanno le affezioni dell'animo; quali purificazioni dei mali dell'animo e del corpo procurava tramite la musica e in qual modo le praticava.
*

XXV (110). Egli [ Pitagora ] era dell'opinione che anche la musica fornisse un notevole contributo alla salute, qualora a essa ci si dedicasse nel modo confacente. In effetti la considerava un mezzo tutt'altro che secondario di procurare la "catarsi" . Era questo il nome che dava alla cura operata per il tramite della musica. A primavera eseguiva questo esercizio musicale: faceva sedere in mezzo un liricine, mentre tutt'intorno sedevano i cantori e così, al suono della lira, cantavano insieme dei peani che ritenevano procurassero loro gioia,armonia e ordine interiore. Ma anche in altri periodi dell'anno i pitagorici si servivano della musica come mezzo di cura.

(111). C'erano determinate melodie, composte per le passioni dell'anima - gli stati scoraggiamento e di depressione - che pensavano fossero di grandissimo giovamento. Altre erano per l'ira e l'eccitazione e ogni altra consimile perturbazione dell'animo. Inoltre esisteva una musica di genere differente, escogitata al fine di contrastare il desiderio. I pitagorici usavano anche danzare, e lo strumento di cui si servivano a questo fine era la lira, perché il suono del flauto lo consideravano violento, adatto alle feste popolari e del tutto indegno di uomini di condizione libera. Per favorire l'emendazione dell'animo usavano inoltre recitare versi scelti di Omero e di Esiodo.
*


Giamblico, La Vita Pitagorica, BUR, pag. 257

Mappa concettuale di Aristotele (5)

martedì 28 giugno 2011

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Mappa concettuale di Aristotele (4)

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Mappa concettuale di Platone (3)

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Mappa concettuale di Platone (1)

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La filosofia e la musica

domenica 26 giugno 2011

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La musica intrattiene un rapporto privilegiato con la filosofia, per differenti ragioni. Innanzitutto, come arte fondamentale, la filosofia può avvalersi di una funzione critica di comprensione e di analisi. Secondo, la musica è perpetuamente connessa ai nostri stati emotivi, alla nostra esistenza, ai nostri sentimenti; la musica stessa ci costringe a pensare, perchè essa, non essendo “discorso teoretico” o concettuale, lascia un vuoto che la riflessione tenta incessantemente di colmare.











La musica, per questo motivo, è ritenuta l’arte più “dionisiaca”, proprio perchè sfugge alla logica della “forma” materiale e visibile, ponendosi sempre un passo al di là dal nostro pensiero.

Oltretutto, la musica ha ormai, nella vita di ciascuno, una funzione vitale, sia da un punto di vista sociologico (basti pensare a come le varie manfiestazioni del Rock siano state in grado, nel corso dei decenni, di creare delle autentiche comunità di persone), sia da un punto di vista spirituale: essere cresciuti con un certo tipo di musica, amare un certo genere e non un altro, definisce il nostro orizzonte esistenziale. La musica influisce sulle modalità attraverso cui comprendiamo e “abitiamo” il mondo, soprattutto perchè, agli eventi più importanti e significativi della nostra vita, colleghiamo sempre un motivo, un pezzo, o una melodia che 
si sono marchiate indelebilmente nella nostra anima.

Per approfondire l’argomento, rimando alla lettura di autori contemporanei come Elio Matassi, Leonardo Distaso, Paolo Terni.

Schema riassuntivo in pdf delle Meditazioni Metafisiche di Cartesio

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Dopo aver analizzato nel dettaglio le Meditazioni Metafisiche di Cartesio, oggi, vi propongo uno schema riassuntivo di tale opera, molto utile per tutti coloro che vogliono ripassare oppure studiarne i concetti chiave!!!













Buona lettura!!

I filosofi e la musica nel romanticismo

giovedì 23 giugno 2011

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La musica per il suo potere incantatorio e per il suo fascino misterioso è sempre stata oggetto di molteplici riflessioni da parte dei filosofi.

Alla tradizione pitagorica, a cui in parte si rifaceva anche Platone, va fatta risalire l’interpretazione della musica come immagine dell’armonia naturale dell’universo, percepibile attraverso i rapporti numericamente esprimibili tra i diversi suoni.





A tale concezione, che peraltro ritorna sia in Leibniz sia nel XVIII sec. in G.P. Rameau, e alla distinzione già di Boezio, come opportunamente rileva Enrico Fubini, tra “musica humana” e “musica mundana”, si sostituisce nel ‘700 il concetto della musica come linguaggio diretto delle passioni.
Per il pensatore J. B. Dubos e per Diderot la musica si richiama non già all’armonia universale, ma alla struttura profonda del nostro essere e della natura in rapporto “ con la cosmica vitalità che anima l’intero mondo naturale” Del pari in Rousseau vi è una presa di posizione contro quella che egli definisce la musica artificiosa della modernità, che avrebbe favorito la razionalizzazione della musica attraverso lo sviluppo della tecnica, allontanandola dalle sue origini di espressione primigenia dell’uomo non ancora corrotto dalla civiltà.







Con l’affermarsi dell’estetica moderna come studio dell’arte e del bello, la posizione della musica nei confronti delle altre arti si fa particolarmente problematica per la sua specificità. In genere si può però dire che, a partire da Kant, viene riconosciuto alla musica un linguaggio particolare e tale da distinguerla dalle arti sorelle.
La musica appartiene per Kant all’arte del gioco delle sensazioni per l’attrattiva e le emozioni che essa esercita e quindi viene dopo la poesia che, esibendo il concetto, eleva alle idee. Essa è inferiore anche alle arti figurative,che, pur giocando con le sensazioni, producono impressioni durevoli recepibili dall’intelletto.
Sempre per Kant la musica gode però di una particolarità, quella di utilizzare la modulazione, come linguaggio degli affetti così che essa“secondo la legge dell’associazione, comunica universalmente le idee estetiche che vi sono naturalmente congiunte”. La musica è dotata quindi di un linguaggio universale comprensibile da ogni uomo.


Per gli autori romantici la musica non si limita al piano della sensibilità, ma coglie la realtà stessa nella sua configurazione più autentica.
Per Hegel essa ci pone a contatto con le strutture prime della natura e della nostra coscienza. Essa segna il passaggio tra le arti più prossime all’utilizzo del materiale sensibile come l’architettura, la scultura e la pittura e la spiritualità della prima tra le arti, la poesia.

Musica e poesia hanno in comune il suono, ma la musica non fa riferimento ad alcun testo determinato perché il suo compito è quello di rendere ogni contenuto non quale si trova nella coscienza come rappresentazione generale, “ma quale diviene vivo nella sfera dell’interiorità soggettiva” L’interiorità è quindi il carattere determinante della musica, che penetra in tutti gli aspetti dell’anima e si impossessa della coscienza .







Per Shelling la musica è l’arte che più si spoglia della corporeità perché essa fa intuire nel ritmo e nell’armonia la pura forma in quanto tale. Mentre la pittura fa apparire il corporeo nella superficie, la musica, come l’architettura, è inorganica ed incorporea, capace di far intuire i movimenti dei corpi celesti, e quindi di cogliere l’archetipo assoluto, sia pur senza risolverlo nella chiarezza della razionalità. Essa realizza quella fusione di finito e di infinito che è propria di ogni sintesi artistica.


Per Schopenhauer la musica non è come le altre arti “una riproduzione delle idee, ma una riproduzione della stessa volontà una oggettivazione allo stesso titolo che le idee”.


Nella musica si oggettivano la volontà che è alle radici della vita e le aspirazioni coscienti dell’uomo. La melodia ci racconta “la storia della volontà illuminata dalla riflessione il cui manifestarsi nella realtà costituisce la serie degli atti umani”. Essa però non esprime il fenomeno, ma l’essenza e l’in sé di ogni fenomeno, la quintessenza della vita, l’elemento metafisico del mondo fisico. Essa ci dà “l’intimo nocciolo che precede ogni formazione, il cuore delle cose” Da ciò deriva la sua universalità, privilegio esclusivo che le conferisce un alto valore.


Anche per Nietzsche la musica è manifestazione della natura primigenia, eternamente creatrice di cui il dionisiaco è espressione e a cui essa ci riporta. Essa è diversa da tutte le altre arti perché non è immagine dell’apparenza “ bensì immediatamente immagine della volontà stessa e rappresenta, dunque, rispetto a ogni fisica del mondo, la metafisica, e rispetto ad ogni apparenza, la cosa in sé”
In tutti questi autori romantici la musica non è quindi solo, come per Kant, un gioco di sensazioni, ma ha come scopo supremo la profonda e vera conoscenza della natura del mondo. Essa è arte privilegiata perché, a differenza delle arti visive, non richiede un rimando alla realtà esterna, ma ancor più della poesia, che ricorre al concetto, attraverso l’indeterminatezza del suono ci immette immediatamente nell’interiorità ove si manifesta il mistero dell’essere.

Mappa concettuale di Socrate

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Mappa concettuale di Gorgia

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Mappa concettuale di Democrito

martedì 21 giugno 2011

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Mappa concettuale di Anassimene

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La "Repubblica" di Platone (libro 1 parte 3)

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A questo punto nel discorso subentra il figlio di Cefalo, ossia, Polemarco il quale dice che questa definizione di giustizia va bene!
Si propone come secondo interlocutore Polemarco il quale partendo da questa prima definizione di giustizia data da suo padre, tenterà di fornire una definizione diversa: è giusto rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto (se questa è la definizione che ha proposto Simonide, è difficile non credere a questa. Simonide era un poeta corale contemporaneo di Bachilde, di Pindaro, vive tra la seconda metà del V secolo alla corte degli Scopadi in Tessaglia, poi va in Sicilia alla corte di Gerone, era depositario di un certo sapere, da quì la polemica di Socrate).

Come interpreta Polemarco questa presunta definizione: giusto è rendere ciò che è dovuto?

Dato che agli amici noi dobbiamo fare del bene e mai del male, allora colui che restituisce e riconsegna ciò che è stato depositato, in questo caso, se lo fa verso un amico lo farebbe giustamente.
Allora bisogna rendere agli amici ciò che a loro sia dovuto (chiede Socrate)? Sicuramente e quindi la nuova versione di questa definizione è corretta da Polemarco: la giustizia consiste nel rendere il bene agli amici e nel rendere il male ai nemici.








Una volta accettata la versione della seconda definizione come giustizia = rendere il bene agli amici e rendere il male ai nemici; Socrate inizia con la confutazione di questa definizione e parte dalla constatazione di ciò che accade per le arti e le tecniche.
E' uno dei dispositivi soliti socrate-platonico (tu mi dai questa definizione e vediamo se vale anche per tutte le altre arti, tecniche dove si intende che la giustizia sia una sorta di tecnica. Se tu mi dici che la giustizia è rendere a ciascuno ciò che è dovuto, questo significa fare del bene agli amici e del male ai nemici, vediamo se quel che vale per la giustizia vale anche per qualsiasi altra tecnica).

Quali sono le tecniche che Platone prende qui in considerazione?

La tecnica medica dà ai corpi farmaci, cibi, bevande (rende, restituisce ciò che è dovuto ai corpi); tecnica culinaria (rende condimenti ai cibi). Se vale il parallelo tra la giustizia e tutte le altre tecniche che cosa rende la giustizia e a chi?
Polemarco adotta agli esempi fatti da Socrate, quella stessa tesi che egli aveva sostenuto in precedenza.
La giustizia è la tecnica che agli amici e ai nemici rende rispettivamente, ai primi, il bene e agli altri il male.
Socrate sposta ancora il discorso su un altro piano e si arriva a un punto in cui l'interlocutore non ne capisce più nulla e lo asserisce.







Nonostante lo spaesamento che Socrate procura al suo interlocutore che arriva allo stato di aporia totale, continua tuttavia a sostenere che la giustizia consiste nel giovare agli amici e nel nuocere ai nemici.
Per amici si intendono quelli che a ciascuno sembrano valenti o quelli che lo sono davvero ma non lo sembrano? Se tu ammetti che uno può parere amico ma non esserlo e parere cattivo ma non esserlo, allora, questa definizione di giustizia sembra non valere in quanto non sai più chi sono i tuoi amici e nemici; a chi fare del bene e a chi fare del male.
Equivalenza: nemico=malvagio
Se la giustizia consiste nel fare del male a chi è cattivo, io facendogli del male lo rendo ancora più cattivo, se vedo quel che avviene nelle tecniche, per esempio nell'ippica posso notare che i cavalli a cui si sia nociuto diventano non certo migliori ma peggiori!
In nessun caso è giusto nuocere a qualcuno!
Da tutta l'argomentazione socratica che in nessun caso è giusto rendere il male ai nemici, ne consegue che la definizione data da Polemarco di giustizia = rendere a ciascuno ciò che è dovuto, dove ciò che è dovuto è il bene agli amici e il male ai nemici non regge e deve essere scartata.
In conclusione bisogna asserire che anche la seconda definizione è da scartare ( prima definizione data da Cefalo: dire la verità e restituire il dovuto; seconda definizione ereditata dal figlio di Cefalo, ossia, Polemarco: rendere a ciascuno ciò che si è dovuto, specificata poi come rendere bene agli amici e male ai nemici).

La "Repubblica" di Platone (libro 1 parte 2)

lunedì 20 giugno 2011

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Come si arriva al tema in questione?



Il tema della "Repubblica" è la definizione di che cosa consiste la giustizia.
Cefalo ha appena finito di fare un sacrificio e Socrate si rivolge a lui. Inizia a parlare degli acciacchi della vecchiaia, alcuni di questi sono tuttavia alleviati dal fatto che egli ha potuto accumulare una certa ricchezza e che questa, in un certo senso, permette anche di stare tranquilli rispetto alla prospettiva della vita futura.
Cefalo dice che è ben consapevole che arrivati alla fine della vita si è poi destinati a subire un giudizio o di condanna o di premio per la vita dell'al di là; se però noi in questa vita ci comportiamo in modo corretto/giusto abbiamo buone probabilità di non dover temere il giudizio futuro.
Come siamo agevolati a comportarci bene?
Dal fatto anche di poter disporre delle ricchezze, è più facile per chi dispone delle ricchezze di comportarsi in modo giusto che non invece per chi non dispone di queste ricchezze.
Si arriva così al tema della giustizia.



Giustizia











Il fatto di aver portato il discorso sulla possibilità, che chi dispone di ricchezze ha maggiori possibilità di comportarsi bene/giustamente, induce il personaggio di Socrate a porre la sua solita domanda: "La giustizia la definiremmo così come tu ci proponi?"(cioè di essere veritieri/dire sempre la verità e restituire ciò che si è ricevuto da qualcuno). Oppure il dire la verità e restituire lo si può fare giustamente o ingiustamente e allora la giustizia non consisterà più soltanto in questa definizione; infatti, Socrate qui assume che asserire sempre la verità e restituire ciò che si è ricevuto da qualcuno sia la definizione che Cefalo dà della giustizia.






Giustizia








Questa definizione è accettabile oppure ha in sé i germi della sua distruzione nel senso che alcune volte sia possibile fare giustamente queste cose che hai detto, cioè essere veritieri e restituire e altre colte sia possibile invece farlo ingiustamente e in questo caso non sarebbe questa la definizione di giustizia? (esempio: uno quando era in se stesso mi ha consegnato delle armi, poi diventa pazzo e mi richiede le armi. Se giustizia = dire la verità e restituire ciò che si è ricevuto, io per essere giusto dovrei restituire le armi che mi ha dato; invece in questo caso è meglio non restituire ciò che si è ricevuto e non dire a un pazzo che egli è effettivamente un pazzo).
Una definizione data in questi termini si auto confuta!
Cefalo riconosce che questa definizione possibile che si poteva trarre da tutto il suo discorso non è valida.
Nel discorso subentra a questo punto il figlio di Cefalo: Polemarco il quale asserisce che questa definizione va bene!

"La Repubblica" di Platone: ebook free

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Libro 1: parte 1






Socrate racconta di essere sceso verso il Pireo (il porto di Atene) con Glaucone (fratello di Platone) con l'intenzione di offrire la preghiera alla dea Bendis venerata dai Traci (la popolazione barbarica che abitava nei luoghi dell'odierna Bulgaria). Per la prima volta i Traci, quella sera avrebbero organizzato una certa festa in onore della dea Bendis.

La collocazione del dialogo è un punto lontano dal centro della città, luogo della corruzione, ove hanno ucciso il filosofo Socrate.
A partire dal secondo libro i due principali interlocutori di Socrate sono Glaucone e Adimanto (figli di Aristone) fratelli di Platone.


Sembra che la festa della dea Bendis si sia tenuta per la prima volta nel 429, intorno alla data di nascita di Platone.
Alcuni hanno detto che Platone mescola vari elementi, personaggi che storicamente non possono stare insieme; con l'intenzione di porre una correlazione tra la filosofia presentata da Socrate con altre tradizioni filosofiche (per esempio eleatismo).
Socrate, dopo aver visto questa festa vorrebbe tornare al centro della città, ma viene raggiunto dallo schiavo Polemarco (Polemarco e Lisia sono i figli di Cefalo il quale non era un cittadino ateniese ma un meteco cioè uno straniero residente in città. Cefalo era originario della Sicilia ed era venuto ad Atene ai tempi di Pericle in quanto aveva una grossa impresa di fabbricazione; era un piccolo industriale che fabbricava scudi) e da Adimanto il quale cerca di fare restare Socrate in quanto si sarebbe tenuta una cavalcata con le fiaccole in onore della dea Bendis.
Andarono a casa di Polemarco e trovarono Lisia, Eutidemo e Trasimaco di Calcedone il quale porrà determinate tesi che coincidono con ideali né oligarchici, né democratici ma piuttosto tirannici che vengono confutati da Socrate.

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