" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Avicenna: la metafisica (1 parte)

giovedì 3 marzo 2011

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Ibn-Sina, che gli scolastici latini conobbero con il nome di Avicenna, era persiano di origine e nacque ad Afshana (presso Bokhara) nel 980. Dotato di ingegno precoce, a 17 anni era già famoso come medico ed ebbe la fortuna di guarire il principe di Bokhara, che lo colmò di favori e gli aprì l'immensa biblioteca del suo palazzo. In seguito Avicenna fu a Sorsan, dove aprì un corso pubblico di insegnamento e cominciò a comporre il suo celebre "Canone di medicina".
Costretto ad abbandonare quella residenza per i torbidi che vi erano scoppiati, si recò ad Hamadan, dove fu nominato visir di quel principe. In questa carica rischiò di fare una brutta fine perché le truppe, scontente del visir, si impadronirono di lui e chiesero la sua morte. Il principe lo salvò e lo tenne presso di sé come medico.
Egli allora compose diverse parti della sua grande opera sulla "Guarigione" (Al Scifà).
Dopo la morte del suo protettore si recò ad Ispahan, dove divenne segretario di quel principe, che accompagnò spesso nelle sue spedizioni. Queste fatiche contribuirono a minare la sua salute già compromessa da una vita agitata e laboriosa: Avicenna amava la vita, e si dedicava volentieri agli amori ed al vino. Avendo accompagnato il suo principe in una spedizione contro Hamadan, si ammalò e morì in quella città nel 1037, all'età di 51 anni circa. La "Vita di Ibn-Sina" scritta dal suo discepolo Sorsanus è stata tradotta in latino e stampata davanti a diverse edizioni latine delle sue opere.





L'attività di Avicenna si estende a tutti i campi del sapere. Il suo "Canone di medicina" fu l'opera classica della medicina medievale. Le opere che interessano la filosofia sono il "Libro della guarigione (Al scifà) e il "Libro della Liberazione (Al Najat): il primo era una vasta enciclopedia di scienze filosofiche in diciotto volumi; il secondo, diviso in tre parti, era un riassunto del primo.
Le edizioni latine delle opere di Avicenna sono traduzioni di questa o di quella parte delle due opere principali. Alla fine del XII secolo Gerardo di Cremona tradusse il Canone di medicina; Domenico Guindisalvi e il giudeo Avendeath tradussero "La Logica", una parte della "Fisica", la "Metafisica", il "De caelo", e molti altri scritti scientifici.
Rapidamente, tra la fine del XII e il principio del XIII secolo, l'Occidente cristiano giunge a conoscenza, attraverso queste traduzioni di Avicenna, di quasi tutta l'opera di Aristotele, di cui anteriormente conosceva solo la logica. Ma con tutto ciò, l'Occidente latino conobbe ben poco dell'opera di Avicenna.
Quest'opera infatti fu vastissima (forse più di 250 opere); e il riconoscimento della sua importanza sia per la filosofia orientale come per quella occidentale nonché per la scienza (e per la biologia e medicina in specie), hanno indotto gli studiosi moderni a pubblicarne e a tradurne alcune parti inedite.
Tra queste hanno importanza per la filosofia: "Trattati mistici; "Epistola delle definizioni"; "Libro di scienza"; "Libro delle direttive e delle note"; "Logica orientale", che è parte di una grande opera andata perduta "Giudizio imparziale fra gli occidentali e gli orientali". Il titolo di quest'ultima opera ha fatto pensare ad un esito teosofico o mistico della filosofia di Avicenna in contrasto con l'impostazione filosofica e razionalistica delle opere che conosciamo.







In realtà non esiste alcuna base per una simile ipotesi: la quale è smentita, oltre che dal frammento che di quell'opera abbiamo sulla logica, anche dal contenuto del "Libro delle direttive" che anche esso appartiene agli ultimi anni di Avicenna e che non testimonia mutamenti sensibili nelle conclusioni della sua filosofia. Le fonti di questa filosofia sono Aristotele, Plotino (che però Avicenna non distingue dal primo al quale attribuisce la "Theologia", un centone di passi delle "Enneadi") e Al Farabi; ma agli Stoici soprattutto si avvicina il suo concetto del mondo come il dominio di una forza razionale che lo guida con infallibile necessità.
Avicenna descrive in termini chiaramente scolastici il compito della filosofia: questo compito consiste nel dimostrare e chiarire razionalmente la verità rivelata. I fondatori della fede insegnarono e tramandarono la loro dottrina in virtù dell'ispirazione divina.
I filosofi aggiungono alla dottrina tramandata il discorso e la considerazione dimostrativa. I fondatori della fede non distinsero né chiarirono il contenuto della loro dottrina, ma ne dettero soltanto i principi e i fondamenti: spetta ai filosofi esporre e delucidare chiaramente ciò che in essi è ancora oscuro ed involuto.








Ma se la filosofia aggiunge alla tradizione religiosa la considerazione dimostrativa, dall'altro lato la tradizione religiosa, rappresentata dai profeti, estende il dominio della verità umana al di là dei limiti cui può giungere la dimostrazione necessaria. E difatti essa consente di affermare con certezza anche la realtà di ciò che l'intelletto è incapace  di dimostrare o di cui esso può riconoscere solo la possibilità.
Il principio della speculazione di Avicenna è, come di quella di Al Farabi, la necessità del'essere. Tutto l'essere in quanto tale è necessario. "Se una cosa non è necessaria in rapporto a se stessa, egli dice, bisogna che sia possibile in rapporto a se stessa, ma necessaria in rapporto a una cosa diversa".
La proprietà essenziale di ciò che è possibile è proprio questa: avere necessariamente bisogno di un'altra cosa che lo faccia esistere in atto. Ciò che è possibile rimane sempre possibile in rapporto a se stesso, ma gli può accadere di essere in modo necessario in virtù di una cosa diversa. L'esistenza in atto è dunque sempre necessità. Il possibile rimane tale finché non ha esistenza in atto: quando riceve l'esistenza in atto, riceve al tempo stesso la necessità.








Questo implica in primo luogo che ogni possibile agisce e richiama l'essere necessario come causa della sua esistenza attuale. E in secondo luogo implica che l'essere necessario esiste di per sé, cioè in virtù della sua stessa essenza ed è intelligibile unicamente per questa essenza.
Esso è semplice, senza legami, senza deficienze e senza materia.
Fonte: Storia della filosofia di Abbagnano









1 commenti:

Anonimo ha detto...

mi piacciono questi filosofi che cercano i fili rosso che reggono il mondo..continuo a leggere...baci fata

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