" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Averroè: filosofia e religione

domenica 6 marzo 2011

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L'intento dichiarato di Averroè non è quello di costruire un vero e proprio sistema, ma soltanto quello di chiarire il significato autentico della filosofia di Aristotele che per lui è il termine ultimo del pensiero umana. "Aristotele, egli dice, è la regola e l'esemplare che la natura creò per dimostrare l'ultima perfezione umana".
La dottrina di Aristotele è la verità somma, giacché l'intelletto di lui fu il termine dell'umano intelletto. E ben può dirsi che egli fu creato e dato a noi dalla Divina Provvidenza, affinché sapessimo tutto quanto ci è dato sapere".
Con tale considerazione del valore di Aristotele e, della verità della sua dottrina, Averroè evidentemente non può non presumere di oltrepassare il suo maestro o di allontanarsi dalla guida di lui. Tuttavia, nella sua opera, di illustrazione e di commento dei testi aristotelici, passano i risultati fondamentali di tutta la speculazione araba anteriore; egli stesso si muove nel clima di questa speculazione, che è sostanzialmente una interpretazione neoplatonizzante dell'aristotelismo.


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Nonostante il sospetto di eresia che pesò su di lui, Averroè non concepisce la ricerca filosofica in antagonismo con la tradizione religiosa. In primo luogo, egli è consapevole del valore assoluto di quella ricerca. "In realtà, egli dice, la religione propria dei filosofi consiste nell'approfondire lo studio di tutto ciò che è; non si potrebbe rendere a Dio un culto migliore di quello che consiste nel conoscere le sue opere e conduce a conoscere lui stesso in tutta la sua realtà.
Agli occhi di Dio, è questa l'azione più nobile, mentre l'azione più vile è quella di accusare di errore e di vana presunzione colui che si consacra a questo culto, che è il più nobile di tutti, e che adora Dio con questa religione, che è la migliore di tutte".
Dall'altro lato, però, la ricerca filosofica non può essere di tutti, la religione del filosofo non può essere la religione del volgo. Come certi cibi sono alimento per certi animali e veleno per altri, così i procedimenti del filosofo che sono utilissimi alla sua ricerca sarebbero esiziali per i non-filosofi.


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Se  i filosofi rivolgessero i loro dubbi e le loro dimostrazioni al popolo, darebbero occasione agli incompetenti di mettere innanzi dubbi e argomenti sofistici e di cadere in errore. Perciò la religione, che è fatta per i più, segue e deve seguire altra via, una via "semplice e narrativa" che illumini e diriga l'azione. Qui è il vero dominio della religione. Alla filosofia spetta il mondo della speculazione, alla religione il mondo dell'azione. Chi negasse o anche solo dubitasse dei principi posti dalla tradizione religiosa renderebbe impossibile l'agire umano, allo stesso modo che renderebbe impossibile la scienza chi negasse o dubitasse dei primi principi da cui essa muove. Averroè vuole nei suoi libri "liberamente parlare coi filosofi autentici", non opporsi agli insegnamenti della tradizione religiosa.
Non gli si può quindi attribuire quella dottrina della doppia verità che gli scolastici latini ritennero un caposaldo del suo sistema. Non c'è per lui una verità religiosa accanto ad una verità filosofica.
La verità è una sola: il filosofo la cerca attraverso la dimostrazione necessaria, il credente la riceve dalla tradizione religiosa (la legge del Corano) nella forma semplice e narrativa, che è adatta alla natura della maggior parte degli uomini. Ma non c'è contrasto tra le due vie, né dualismo nella verità.


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Averroè ha composto, come si è visto, due trattati per dimostrare l'accordo tra la verità religiosa e quella filosofica.
Tutti quelli che sono estranei alla speculazione devono fermarsi alla forma che la verità ha ricevuto ad opera della tradizione religiosa per poter essere illuminati e guidati nella loro azione. 
Per i filosofi, invece, la verità acquista il volto severo della dimostrazione necessaria e diventa il termine di una ricerca che è la migliore e più alta di tutte le azioni umane.
Fonte:Storia della filosofia di Abbagnano

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