" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Averroè: la dottrina dell'intelletto (parte 1)

lunedì 7 marzo 2011

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La dottrina che gli scolastici latini ritennero tipica dell'averroismo è quella dell'intelletto. In essa Averroè si distacca dall'interpretazione che domina la filosofia araba da Al Kindi ad Ibn -Tofail. Per questi filosofi, l'Intelletto agente è l'ultima emanazione divina ed è quindi una sostanza separata da ogni materia e dalla stessa anima umana e appartenente al novero delle sostanze divine.
L'intelletto potenziale o materiale (ilico) e invece, per essi, l'intelletto propriamente umano, la parte razionale dell'anima umana. Quest'ultimo passa all'atto per opera del primo, divenendo così intelletto in atto e a sua volta l'intelletto in atto, perfezionandosi con l'esercizio del ragionamento discorsivo, diventa intelletto acquisito (adeptus).
A questa dottrina che si ritrova con poche varianti sostenuta dalle filosofie che si sono precedentemente esposte, Averroè apporta una modificazione sostanziale: l'intelletto materiale o ilico non è l'anima umana. E non lo è per le  stesse ragioni per cui non lo è l'intelletto attivo: cioè perché le forme intelligibili che sono il suo oggetto potenziale, sono universali, eterne, indistruttibili e non lo sarebbero se seguissero le sorti dell'anima umana che è diversa in diversi individui e qualche volta pensa e qualche volta no e non pensa allo stesso modo in tutti.




Per gli stessi motivi anche l'intelletto acquisito o speculativo (adeptus, speculativus) che risulta dall'azione dell'intelletto agente sull'intelletto materiale o possibile è uno in tutti gli uomini e separato dall'anima umana. Quest'ultimo però può essere partecipato dalle anime umane nella loro molteplicità e mutevolezza; e può essere partecipato da esse nella forma di un abito, di una disposizione, o di una preparazione (habitus, dispositio, praeparatio) che costituisce la perfezione delle anime stesse. Questa disposizione e preparazione costituisce la perfezione dell'anima umana: una perfezione che segue le vicende, cioè la nascita o la morte, dell'anima stessa perchè appartiene alla sua capacità immaginativa (che è legata al corpo).
L'intelletto speculativo pertanto può essere detto da un lato unico, dall'altro molteplice; da un lato eterno, dall'altro generabile e corruttibile. In se stesso è unico ed eterno. Come disposizione o preparazione dell'anima è molteplice e soggetto alla nascita e alla morte.




Questa soluzione consente, secondo Averroè, di risolvere tutte le difficoltà che la dottrina dell'intelletto provocava nelle soluzioni adottate dai suoi predecessori. "Se, dice Averroè, l'oggetto intelligibile fosse assolutamente unico in me ed in te, accadrebbe che, quando io lo conoscessi, lo conosceresti anche tu; e altre cose impossibili.
Dall'altro lato, se l'oggetto intelligibile fosse diverso per i diversi individui accadrebbe che esso sarebbe in te e in me unico nella specie, duplice nell'individualità sicché avrebbe un altro oggetto fuori di sé e quest'altro un altro e così via. Inoltre sarebbe impossibile in questo caso che il discepolo apprendesse dal maestro a meno che la scienza che è nel maestro non sia una virtù che genera e crea la scienza che è nel discepolo al modo in cui un fuoco genera un altro fuoco a sé simile: il che è impossibile. Ma quando si ponga che l'oggetto intelligibile che è in me e in te è molteplice per il soggetto per cui è vero, cioè per le forme dell'immaginazione, ed unico per il soggetto che è l'intelletto esistente e materiale, tali questioni si dissolvono perfettamente".
Pertanto la virtù cognitiva propria dell'uomo si limita, secondo Averroè, alla sfera delle forme immaginative cioè delle forme astratte dalle immagini sensibili; tale virtù è una semplice preparazione dell'intelletto materiale,simile alla preparazione della materia che si appresta a ricevere l'opera dell'artefice.




In tal modo l'intero processo della conoscenza intellettiva, che va dalla potenza all'atto, si svolge indipendentemente e separatamente dall'anima umana che si limita a rifletterlo imperfettamente e parzialmente. L'intero processo è poi direttamente messo in moto e sostenuto dall'intelletto attivo.
L'azione di questo è paragonata da Averroè, secondo l'immagine aristotelica, a quella del sole, mentre l'intelletto potenziale o materiale (ilico) è paragonato alla potenza visiva che dalla luce del sole è resa capace di vedere; e le forme intelligibili (verità o concetti) nell'anima umana, ai colori. Come il sole illumina il mezzo trasparente (l'aria) e così porta all'atto i colori che sono nell'oggetto, l'intelletto attivo, illuminando di sé l'intelletto potenziale, fa sì che esso disponga l'anima umana ad estrarre dalle rappresentazioni sensibili i concetti e le verità universali.
Fonte: Storia della filosofia di Abbagnano.

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