" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Averroè: la dottrina dell'intelletto (parte 2)

lunedì 7 marzo 2011

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L'anima individuale, dunque, non ha di proprio che il materiale delle rappresentazioni; ma essa procede ad estrarre da tali rappresentazioni i concetti, quando le si unisce l'intelletto potenziale; e questo le si unisce, quando ad esso si unisce l'Intelletto attivo. Da questa dottrina scaturisce una serie di conseguenze paradossali che attirarono la vivace polemica della scolastica latina.
In primo luogo, l'intelletto materiale è unico in tutti gli individui perché è la disposizione comunicata alle loro anime dell'Intelletto agente. Esso si moltiplica nei vari individui come la luce del sole si moltiplica distribuendosi sui vari oggetti che illumina.
Come S.Tommaso spiega, la diversità degli intelletti umani è determinata dal fatto che, operando l'intelletto materiale sulle immagini, che non sussistono tutte in tutti gli individui né sono ugualmente distribuite in tutti, le cose che un uomo pensa non sono le stesse di quelle che pensa un altro.




In secondo luogo, all'intelletto materiale può accadere qualche volta di intendere e qualche volta no solo rispetto ad un determinato individuo, non rispetto alla specie umana.
Per esempio, può accadere che Socrate o Platone qualche volta intenda, e qualche volta no, il concetto di cavallo; ma nell'intera specie umana l'intelletto intende sempre questo concetto, a meno che la specie stessa non venga a mancare, il che è impossibile. Da ciò deriva che la scienza non è generabile né corruttibile, ma eterna. Muore la scienza che è in Socrate o in Platone con la morte dell'individuo; non muore la scienza in sé, che è legata ad una disposizione universale, essenzialmente connessa con l'intera specie umana.




Su questa natura dell'intelletto si fonda il destino ultimo dell'uomo. La felicità dell'uomo consiste nel coltivare ed estendere la disposizione che costituisce l'intelletto materiale, per perfezionare ed estendere la capacità speculativa, conoscere le sostanze separate e infine Dio stesso.
Averroè riprende in pieno la dottrina aristotelica della superiorità della vita teoretica.
"L'intelletto pratico, egli dice, è comune a tutti gli uomini, tutti lo posseggono, chi più chi meno; l'intelletto speculativo è una facoltà divina, che si trova solo negli uomini eccezionali".
La scienza è l'unica via della beatitudine umana: una beatitudine la quale si raggiunge in questa vita, mediante la pura ricerca speculativa, giacché non c'è una continuazione della vita umana al di là della morte. Difatti la sola parte dell'anima umana che non sia legata al corpo e non sia quindi soggetta alla generazione e alla corruzione, è per l'appunto l'intelletto materiale. Ma tale intelletto, se, come semplice disposizione, fa parte dell'anima umana, come realtà sostanziale sussiste separatamente e non è altro che lo stesso intelletto agente.




All'anima umana non rimane allora che l'intelletto acquisito o speculativo; ma questo, condizionato com'è dalla parte sensibile che gli fornisce le immagini dalle quali vengono astratte le forme intelligibili, è legato al corpo e nasce e muore con esso. Averroè è condotto così a negare l'immortalità dell'anima e a porre il fine ultimo dell'uomo nella beatitudine che si può raggiungere in questa vita con la ricerca speculativa e la contemplazione delle realtà supreme.
Fonte: Storia della filosofia di Abbagnano

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