" Il mio scopo è mettere il lettore in uno stato mentale così elastico da farlo sollevare sulla punta dei piedi."
Friedrich W. Nietzsche

Averroè: l'eternità del mondo

lunedì 7 marzo 2011

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Sul problema dell'intelletto e sulle questioni connesse, compresa quella dell'immortalità umana, Averroè è in contrasto con i suoi predecessori e specialmente con Avicenna; il quale identificava l'intelletto materiale con l'umano e riteneva l'immortalità propria della natura e del destino dell'anima umana.
Ma per ciò che riguarda il rapporto tra Dio e il mondo, e in particolare la creazione Averroè non fa che riprendere le dottrine dei suoi predecessori.
La necessità dell'essere, così energicamente affermata da Avicenna, è anche il caposaldo della metafisica di Averroè. E' da notare che tale necessità non esclude, ma piuttosto esige, la creazione: l'essere possibile in rapporto a sé esige l'essere necessario che lo porti all'atto, e lo crei. Ma questa creazione è soltanto, come già notò S.Tommaso, la dipendenza causale dell'essere possibile, che è necessario solo in rapporto ad altro, da questo altro, che è Dio.
Esclude perciò l'inizio del tempo dell'essere possibile, cioè del mondo, e non ha nulla a che fare con la creazione, quale è concepita nella Bibbia e nel Corano.









Questa dipende da un atto di volontà del Creatore, che dà inizio nel tempo al mondo e prescrive ad esso limiti temporali definiti. Ma contro questo concetto Averroè ripete le obiezioni di Avicenna. Che Dio abbia creato il mondo dal nulla può significare o che egli l'abbia creato per un motivo estraneo alla sua natura o che sia sopravvenuto nella sua natura un mutamento che ad un certo punto lo abbia determinato alla creazione. Ora entrambe queste alternative sono impossibili.
Dio non ha nulla fuori di sé, se si toglie il mondo stesso, e non può quindi ricavare dall'esterno il movente della creazione. Dall'altro lato, nessuna cosa può mutare se stessa: quindi la natura di Dio non può subire mutamenti.
Inoltre se la creazione suppone una scelta divina, questa scelta deve essere continua ed eterna, a meno che non intervenga un ostacolo o non si presenti da scegliere qualcosa di meglio. Ma non si può parlare di un ostacolo a Dio, né ci può essere un'alternativa migliore alla creazione del mondo. La scelta di Dio deve essere quindi eterna e continua e non si può parlare di un inizio del mondo.


Averroè e Porfirio






Averroè accetta la dottrina di Al farabi e di Avicenna, che il mondo emana necessariamente dalla scienza di Dio e che di questa emanazione non c'è motivo o intenzione particolare, perché essa procede dalla natura di Dio in quanto conosce se stesso. Deve perciò dirsi che l'azione di Dio nella produzione e nella conservazione del mondo non è paragonabile all'azione di nessun agente finito, né naturale né volontario, e che egli produce il mondo e lo conserva in un modo che non trova riscontro nell'azione delle cose e degli uomini. Lo stesso deve dirsi dell'azione con cui Dio governa il mondo. Egli regge il mondo con la sua scienza, ma la scienza di Dio non ha niente a che fare con quella umana. Dio non intende se non se stesso, ma intendendo se stesso, intende tutto. La sua scienza non riguarda le cose particolari, perché è al di là dei loro limiti.







Che egli non conosca le cose individuali di questo mondo nel loro essere individuale non è difetto nella conoscenza divina, giacché non è un difetto conoscere in modo imperfetto ciò che si conosce in modo molto più compiuto. La provvidenza divina segue la scienza divina. Come Dio non conosce le cose individuali così non le regge né governa con la sua azione provvidenziale. L'ingiustizia e il male che sono nel mondo dimostrano già a sufficienza che né Dio né le altre sostanze separate, che emanano direttamente da lui e reggono le orbite dei cieli, governano direttamente le vicende e il destino degli esseri singoli.
Attraverso il movimento dei corpi celesti Dio regola anche gli accadimenti del mondo sublunare. E difatti il movimento del sole, determinando la successione dei giorni e delle notti e l'avvicendarsi delle stagioni, regola la generazione delle piante e degli animali.
Ma ciò che è puramente individuale o causale, ciò che non rientra nell'ordine necessario del tutto, sfugge alla provvidenza così come alla scienza di Dio.









La stessa volontà umana è determinata, nella misura in cui le sue deliberazioni sono soggette all'ordine necessario del mondo. Averroè ritiene che le nostre azioni dipendono, almeno in parte, dal nostro libero arbitrio, ma che dall'altro lato esse non possono sfuggire al determinismo dell'ordine cosmico. La volontà umana è, si, per conto suo un agente libero; ma essa esplica la sua azione nel mondo che è regolato dall'ordine necessario ed eterno di Dio.
Il rapporto della volontà con le cause esterne è determinato dalle leggi naturali: perciò il Corano parla di una infallibile predestinazione dell'uomo.
Le condanne pronunciate a Parigi negli anni 1270 e 1277 contro l'averroismo vertevano sulle seguenti proposizioni: l'intelletto di tutti gli uomini è numericamente uno ed identico; il mondo è eterno; l'anima, che è la forma dell'uomo in quanto uomo, si corrompe con la corruzione del corpo; Dio non conosce le singole cose; il libero arbitrio è potenza passiva, non attiva, mossa di necessità dall'oggetto appetibile; la volontà dell'uomo sceglie per necessità.
Queste proposizioni includono ciò che agli scolastici latini apparve come tipico dell'averroismo ed in contrasto insanabile con il dogma cristiano. Ma il significato dell'averroismo non risiede interamente in queste proposizioni. Esso si presenta come un grande tentativo di riconquistare, con un ritorno ad Aristotele, il filosofo per eccellenza, la libertà della ricerca filosofica; e di indirizzare la ricerca a chiarire quell'ordine necessario nel mondo, la cui contemplazione appare ad Averroè come il compito più alto e la felicità perfetta dell'uomo.
Fonte: Storia della filosofia di Abbagnano

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